Italian

In viaggio coi Librotraficantes


«
Lontano, lontanissimo, in mezzo al nulla è successo qualcosa».

- N. Scott Momaday

 

Nel marzo scorso ho avuto la fortuna di poter seguire la spedizione dei Librotraficantes, un gruppo di attivisti americani diretti in Arizona per protestare contro una legge che ha cancellato il corso di Ethnic Studies dai licei dello stato, nonché vietato l’insegnamento di numerosi classici della letteratura Mexican-American e mondiale: da The House in Mango Street di Sandra Cisnerosa La Tempesta di Shakespeare, che secondo i legislatori avrebbero instillato nei giovani del sentimento antiamericano e pericolose idee rivoluzionarie. 

Perché gli artisti? MACAO è la risposta

“perché i poeti nel tempo della povertà?” chiede Holderlin nel suo poema “Pane e vino”.

E commentando questo verso, Heidegger dice: “Forse siamo nel momento in cui il mondo va verso la sua mezzanotte”.

 

In nome del vuoto

Il 5 maggio un gruppo di artisti, architetti, insegnanti e studenti e lavoratori precari della scuola e della comunicazione hanno occupato un edificio chiamato Torre Galfa e l’hanno rinominato Macao. L’edificio è un grattacielo di trentacinque piani, abbandonato da quindici anni.

Dieci giorni dopo l’occupazione, mentre il corpo gigantesco del precariato cognitivo milanese cominciava a stiracchiare le sue membra e a sintonizzarsi con la torre, sono entrati in azione gli esecutori del piano di sterminio finanziario. Il proprietario, noto alle cronache giudiziarie come corrotto e corruttore, ha deciso che quel posto è suo e deve rimanere com’è: vuoto. Tutto deve essere vuoto nella città, perché il capitalismo finanziario ha bisogno di distruggere ogni segno di vita. Le risorse materiali e intellettuali vengono progressivamente inghiottite, annullate, perché i predatori possano espandere la loro insensata ricchezza.

Per la prima volta, occupando la Torre, il movimento è uscito dalla sfera dell’underground e si è proiettato verso l’alto. Non è un movimento di talpe, ma di sperimentatori. Le talpe ora debbono venire fuori, debbono occupare ogni spazio, e contenderlo all’organizzazione di morte che si chiama Banca Centrale Europea.

 

Piccolo saggio sulla diserzione

Quando non può lottare contro il vento e il mare per seguire la sua rotta, il veliero ha due possibilità: l'andatura di cappa che lo fa andare alla deriva, e la fuga davanti alla tempesta con il mare in poppa e un minimo di tela. La fuga è spesso, quando si è lontani dalla costa, il solo modo di salvare barca ed equipaggio. E in più permette di scoprire rive sconosciute che spuntano all'orizzonte delle acque tornate calme. Rive sconosciute che saranno per sempre ignorate da coloro che hanno l'illusoria fortuna di poter seguire la rotta dei carghi e delle petroliere, la rotta senza imprevisti imposta dalle compagnie di navigazione. Forse conoscete quella barca che si chiama desiderio.

  • Henri Laborit, Elogio della Fuga, 1976.

Scacco (matto?)

 Il pensiero politico contemporaneo manca del senso del tragico, e si sforza di interpretare la realtà in base a categorie discorsive che non riescono ad agire sugli automatismi tecnici, linguistici, finanziari, e psichici che sempre più spesso conducono al suicidio: il suicidio collettivo della devastazione ambientale, e il suicidio individuale che inghiotte un numero crescente di vite umane. Occorre invece comprendere la tragedia e parlare il suo linguaggio, se si vuole entrare in sintonia con la mutazione profonda che sta attraversando la società. E se si vuole cercare, ammesso che esista, una via d’uscita dall’abisso cui il capitalismo ha destinato la storia dell’umanità.

Io brucio: da un’inchiesta in Tunisia

In Tunisia, partire dal paese si dice « bruciare » la frontiera.
 
Nel mese di maggio 2011,  un gruppo di compagne e compagni venuti da Italia, Francia, Germania ed altri paesi europei vanno a fare inchiesta militante nella Tunisia post-insurrezionale, dalle città autorganizzate del sud alle spiagge del nord da dove partono i migranti per raggiungere Lampedusa, liddove si va a « bruciare ». La realtà è che, in seguito allo sconvolgimento del 14 gennaio, la caduta di Ben Ali susseguitasi all’occupazione della Kasbah I - l’esplosione delle forze - il governo di transizione così come i media nazionali ed internazionali, cercano di dare della situazione una visione pacificata. Di contro, numerosi gruppi ci parlano della necessità di portare avanti il processo rivoluzionario, di approfondirlo, spingerlo oltre la caduta dei simboli. Oltre l’ordine imposto. Oltre la normalizzazione. Torna la repressione. Questa volta, attraverso una strategia di guerra a bassa intensità, fatta di poliziotti in borghese che pestano i manifestanti alla minima mossa. Le tensioni politiche si acuiscono, si dà la caccia all’attivista, giovane soprattutto, cioè i diplomati disoccupati, studenti e provenienti da ogni parte delle campagne, rimasti a Tunisi dopo la fine dell’occupazione della Kasbah, proseguendo la protesta.
Syndicate content