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Tre Riflessioni Sull'Orlo Dell'Abisso

L’errore del 2005
 
Si avvicinano le elezioni dipartimentali in Francia, e i sondaggi dicono che il Front National sarà il grande vincitore. Il premier Manuel Valls ha rimproverato i cittadini francesi per la loro passività, e ha detto che gli intellettuali non fanno il loro dovere antifascista. Davvero Manuel Valls ha la faccia come il culo, che fuor di metafora vuol dire che proprio non tiene vergogna. I socialisti francesi come i democratici italiani hanno tradito le loro già pallide promesse di opporsi all’oltranzismo austeritario, hanno gestito in prima persona la mattanza sociale, e ora fanno le vittime, si lamentano perché il popolo non li segue e gli intellettuali non si impegnano.
Lasciamo perdere gli intellettuali francesi che non esistono più da almeno venti anni, a meno di considerare Bernard Henri Levy un intellettuale mentre a me pare che si tratti di un imbecille molto pericoloso, come dimostrano le sue campagne a favore dell’intervento in Siria e in Libia.
Non so come andranno a finire le elezioni francesi. Quel che so è che il Front National è la sola forza politica capace di interpretare i sentimenti prevalenti nel popolo francese: odio nazionalista riemergente contro l’arroganza tedesca, e ribellione sociale contro la violenza finanziaria. Un mix inquietante ma potente, che cancella la distinzione tra destra e sinistra.
Non so come andranno le elezioni. Le sorprese sono possibili perché il sentimento anti-razzista dei francesi potrebbe alla fine sottrarre al Front National la vittoria. Ma è improbabile. Solo il movimento sociale che discende dalla tradizione del ’68 avrebbe potuto rappresentare le ragioni di un europeismo progressista, libertario, egualitario, ma il movimento sociale che discende dalla tradizione del ’68 non ha più alcuna credibilità almeno a partire dal 2005. In quell’anno i francesi (e anche gli olandesi) furono chiamati a votare su un referendum a favore o contro la Costituzione europea che rappresentava la definitiva torsione in senso liberista del progetto europeo. L’attenzione si concentrò sulla questione del mercato del lavoro: per il ceto politico europeo l’obiettivo era soggiogare definitivamente il lavoro e ridurne il costo sfruttando il vantaggio della globalizzazione del mercato del lavoro.
Ma i lavoratori francesi (e olandesi) compresero che il sì a quel referendum avrebbe sancito definitivamente la sottomissione del loro salario alle regole ferree del neo-liberismo: competizione feroce tra i lavoratori, riduzione costante del salario, aumento costante del tempo di lavoro.
Dani Cohn Bendit e Toni Negri insieme si pronunciarono a favore del “sì” per il superamento dello Stato-nazione. Questa scelta sanciva l’irrilevanza della cultura di origine sessantottina (e della cultura in generale) rispetto ai destini dell’Unione, ma soprattutto dimostrava che non avevamo capito cosa fosse l’Unione europea. Il discorso anti-sovranista si riduceva a un’affermazione puramente formale: opporsi alla cessione di sovranità è regressivo.
E’ vero, ma a chi si stava cedendo sovranità? Non a una forma politica democratica post nazionale, bensì a un organismo intergovernativo che aveva e ha la sola funzione di imporre gli interessi dell’accumulazione di capitale finanziario, e di ridurre in completa soggezione il lavoro.  
Dopo il 2005 solo la destra ha finito per rappresentare la resistenza contro la violenza finanziaria.  A partire del 2005 è così iniziata l’ascesa del nazionalismo, che si presenta come difesa contro la dittatura finanziaria. I lavoratori francesi (e olandesi) sconfissero l’offensiva neoliberista con il sostegno delle forze nazionaliste e delle forze più retrograde del movimento operaio. Da quel momento in poi solo la destra è in grado di opporsi alla violenza finanziaria, al prezzo di un’altra violenza che rischia di inghiottire il continente.

Tra gli Indiani e Berlinguer

 
Chiude l’Unità
 
Negli anni ’50 e ’60 mio padre portava a casa ogni giorno L’Unità. Dopo il ’68 lessi altri giornali, e L’Unità mi divenne sempre più antipatico, poi il movimento del 1977 ebbe nell’Unità un avversario, spesso sleale. Quel giornale attaccò il movimento di studenti ed emarginati fino ad  accusarlo di squadrismo. Diffamò le avanguardie operaie che alla Fiat al Petrolchimico e all’Alfa cercavano di dare alle lotte operaie una direzione radicalmente anticapitalista.
 
Oggi quel giornale non esiste più.
Ha chiuso perché la sconfitta generale del movimento operaio ha disaffezionato i suoi lettori che sono rimasti pochi, almeno a paragone del milione di lettori che aveva negli anni in cui mio padre ne era diffusore. Ha chiuso perché la classe politica ignorante liberista e autoritaria che  oggi dirige il partito democratico vuol cancellare le tracce del passato. La chiusura di quel giornale provoca in me un sentimento di tristezza immensa: un mondo che potevo capire, con cui potevo interagire polemicamente è cancellato da un mondo opaco che non è più comprensibile secondo le categorie della lotta di classe, ma neppure secondo le categorie della democrazia e della razionalità politica, e forse neppure secondo le categorie dell’umanesimo e dell’umanità.
 
Non rimpiango L’Unità che nel 1977, seguendo un copione classicamente stalinista accusò me e migliaia di intellettuali operai e studenti di essere provocatori, come non rimpiango il movimento cui partecipai in quegli anni. Né L’Unità né il movimento autonomo seppero anticipare e interpretare praticamente la trasformazione che si stava determinando nel rapporto tra operai e capitale, e tra società tecnologia e potere.

Per Una Società Senza Capitalismo, Per Una Democrazia Senza Parlamento

La prima idea da dimenticare, quando si comincia ad occuparsi della “trasformazione sociale” ed a viverla quotidianamente, è che la “politica” possa essere un quieto mestiere con cui si costruiscono perfetti edifici di parole. Le passioni che animano l'attività trasformatrice della presente realtà sociale non sono alimentate dalla “necessità di pensiero”; semmai, alcune fantasie e visioni corroborano, come “gioco di pensiero”, il concreto percorso antagonistico-duale di fuoriuscita dall'atrocità d'una condizione materiale che codetermina forme individuali di vita da negare e formazioni economico-sociali da mutare radicalmente ed irreversibilmente.
 

Passaggio per Seoul (2)

 
Proteste aeree
 
Solo due generazioni fa i coreani erano così poveri che la fame era un’esperienza frequente e largamente diffusa. Nello spazio di due generazioni hanno raggiunto lo stesso livello di ricchezza e di consumo dei paesi più avanzati dell’occidente. Il salario minimo è di circa 3.5 orari e la maggioranza degli operai industriali guadagna intorno a 1500 euro al mese. Gli insegnanti sono pagati meglio che in Italia o in Inghilterra. Ma le prospettive sono difficili per l’ultima generazione. La precarietà si diffonde, il costo dell’educazione cresce mentre si sta realizzando la riforma neoliberista dell’università. Affittare una casa è impossibile per la maggioranza dei giovani che non possono pagare anticipi di cinquantamila dollari. Sempre più i giovani sono costretti a fare debiti bancari per pagarsi l’affitto o gli studi.
 

Passaggio per Seoul (1)

Avevo esitato per settimane. Dopo avere accettato l’invito ci avevo ripensato e avevo cercato di cancellare la mia iniziale disponibilità. Ero spaventato dalla distanza, dal tempo caldo e umido dell’estate di Seoul, perciò declinai l’invito del mio editore coreano. Gli ho mandato un’email: “Sono troppo stanco per fare questo viaggio. Soffro di asma, e temo che il lungo viaggio e il clima umido e afoso mi possa fare male alla salute.”
 
Ma il mio editore, che è un tipo molto simpatico, ha insistito con gentilezza: “Davvero credi che i nord-coreani ci lanceranno una bomba nucleare mentre tu sei qui?”
 
Il sarcasmo delle sue parole mi fece incazzare di brutto.
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