Avevo esitato per settimane. Dopo avere accettato l’invito ci avevo ripensato e avevo cercato di cancellare la mia iniziale disponibilità. Ero spaventato dalla distanza, dal tempo caldo e umido dell’estate di Seoul, perciò declinai l’invito del mio editore coreano. Gli ho mandato un’email: “Sono troppo stanco per fare questo viaggio. Soffro di asma, e temo che il lungo viaggio e il clima umido e afoso mi possa fare male alla salute.”
Ma il mio editore, che è un tipo molto simpatico, ha insistito con gentilezza: “Davvero credi che i nord-coreani ci lanceranno una bomba nucleare mentre tu sei qui?”
Il sarcasmo delle sue parole mi fece incazzare di brutto.
“Pensi che sia stupido? Gli risposi. So benissimo che i nordcoreani fanno tutta questa sceneggiata rituale per scucire un po’ di dollari agli americani. Comunque non me ne frega niente della bomba nucleare, l’asma mi preoccupa molto più che Kim Jong Un.”
Poi mi è passata, ho lasciato perdere le mie preoccupazioni e sono andato a Seoul.
Ho passato giorni felici in Corea perché sono riuscito a vedere il deserto del presente nella sua versione più pura. Ho studiato i segni dell’ambiente urbano, della vita quotidiana e ho cercato di capire l’eredità del passato storico sulla pelle del presente.
La Corea è il laboratorio del mondo connettivo neo umano.
Dopo decenni di guerra, umiliazione, fame bombardamenti e distruzione delle città, alla fine del ventesimo secolo sia il panorama fisico che il panorama antropologico del paese sono stati ridotti a una specie di astrazione devastata. Poi la vita umana e la città sono stati trasformati dal nichilismo contemporaneo senza quasi incontrare resistenza.
Questo è il ground zero del mondo, un canovaccio del futuro del pianeta.
All’aeroporto di Incheon vengono ad accogliermi due organizzatori del mio seminario: Eunson Park, artista e architetto, direttrice della rivista Listen to the city, e il giovane studioso
Kim Junsung. L’aeroporto è costruito su un’isola, e il ponte corre lungo il mare. Dai finestrini dell’auto guidata da Kim guardo fuori il paesaggio. Ciminiere lungo la linea costiera, dissolte in una mistica nebbia grigio su grigio. Grigio astrazione.
Simulazione
Seppure influenzata dalla cultura cinese, la penisola coreana è riuscita a rimanere isolata dal mondo fino all’inizio del secolo passato.
Quando nel 1919 il mondo si riunì a Versailles ogni paese era rappresentato al Conngresso. Anche il vietnamita Ho Chi Minh potè mandare una petizione per l’indipendenza del suo paese dalla Francia. Ma la Corea in quegli anni era occupata dall’esercito giapponese, e non prese parte all’incontro. Un coreano, laureato a Princeton di nome Syngmann Rhee cercò di raggiungere Parigi ma gli venne negato il passaporto. Dopo la seconda guerra mondiale divenne presidente della Corea del Sud che da poco era divenuta indipendente.
La penisola era stata invasa dai giapponesi nel 1910. L’annessione segnò la fine della Dinastia Chosun che aveva regnato fin dal 1392. L’occupazione fu brutale, diretta ad annullare l‘identità nazionale, e la lingua nazionale. Dal 1933 attività di guerriglia guidate da Kim Il Sung e appoggiate dall’Unione sovietica cominciarono al confine con la Manciuria. Durante la seconda guerra mondiale i Giapponesi crearono anche in Corea il sistema di prostituzione organizzata già stabilito in altre zone del loro dominio coloniale. Un numero imprecisato di donne vennero rapite o attirate con promesse di lavoro, poi costrette in condizioni di schiavitù sessuale. Dopo la sconfitta giapponese il paese fu diviso tra i Nord pro-sovietico e il Sud occupato dagli Stati Uniti. Una nuova guerra era inevitabile e scoppiò nel giugno 1950.
Prima di raggiungere un armistizio nel 1953 la guerra fu segnata da atrocità contro i civili e da bombardamenti devastanti, carestia di massa e innumerevoli vittime. Il paese ne venne fuori in condizioni di povertà e desolazione, diviso in due zone.
Nel 1960 Park Chung-Hoo, un generale che era stato collaborazionista dei giapponesi, cacciò Syngman Rhee e istaurò una dittatura militare feroce. Sia il Nord che il Su del paese a questo punto cominciarono un processo di ricostruzione da zero.
Due differenti simulazioni emersero dalla cancellazione del passato: la simulazione Juche di Kim il Sung, una sorta di comunismo mistico con tonalità iper-nazionaliste, e il processo accelerato di industrializzazione di Park, che portò la Corea del Sud, uno dei paesi più poveri del mondo alla crescita prolungata che oggi la pone all’undicesimo posto nella lista dei paesi industrializzati del mondo.
Parlo di due simulazioni perché l’immaginazione del futuro di Kim il Sung e quella di Park Chung Hee sono similmente fondate sulla simulazione di un’identità nazionale che non esisteva più. I fondamenti del vecchio confucianesimo erano la famiglia e il rispetto dei genitori, mentre nella Corea del Nord un nuovo concetto di famiglia emerse: il lavoro collettivo, il partito, lo stato nazionale sottoposti alla indiscutibile autorità di una nuova figura paterna, il Grande Leader, il Suryong.
“Per martellare questi concetti nella testa della popolazione ognuno deve studiare dalle otto alle nove in una sessione che si svolge sotto la direzione di un ufficiale del partito.”
Quel che mi viene in mente quando penso a quel che sappiamo della Corea del Nord (The Orphan Master’s son, il libro di Adam Johnson è interessante ma non so quanto affidabile) è il film di Peter Weir The Truman Show, però senza colori. In bianco e nero e grigio una continua obbligatoria esibizione di fede, entusiasmo e partecipazione all’impresa patriottica comune.
La simulazione del Sud è fondata sull’applicazione militarista del credo economico. L’esibizione di felicità è meno obbligatoria che nella terra del paradiso comunista ma è raccomandata se si vuole avere successo nell’unico gioco che conta: quello del denaro naturalmente.
Mentre il Nord sembra immobile, immutabile nella ripetizione di rituali che hanno perduto il loro significato ma debbono comunque essere ripetuti, le cose nel Sud sono cambiate nel corso dei decenni. Dopo due decenni di dittatura militare, dopo l’insurrezione di Kwangjiu del 1980 – in cui i ribelli occuparono per una settimana la città e l’esercito uccise diverse centinaia di studenti e di operai - e dopo elezioni che hanno rinnovato l’elite politica del paese, la Corea del Sud ha conosciuto un periodo di trasformazione democratica accompagnata dall’esplosione della rivoluzione elettronica nel campo della produzione e della vita quotidiana. Ma il credo economico non ha mai smesso di essere terreno comune di identificazione di una società che ha perduto larga parte del suo panorama fisico e culturale.
La perfetta città ricombinante
Girando per musei e gallerie, osservando la faccia dei passanti, i segni e i gesti e le magliette, mi ha colpito il re-design dell’ambiente visivo di Seoul. Le tracce della vita tradizionale sono cancellate o sovrastate dalla vita progettata dal design. La comunicazione sociale è stata completamente ridisegnata dalla smartphonia cellulare. La visione è stata completamente ridisegnata da schermi di ogni dimensione.
Nella terra di Samsung e di LG la connessione è permanente, per chi cammina, o sta seduto al caffè o sta fermo ad aspettare la metropolitana. Le mani sono occupate a portare in giro lo smartphone o toccare lo schermo con le dita. In un parco mi sono seduto su una panchina a spiare tre ragazze. In piedi, sotto un albero ciascuna di loro osservava lo schermo, fotografava nello spazio intorno, prendeva foto di se stessa e le mostrava alle compagne. In silenzio.
Gli schermi sono dovunque: grandi schermi sulle mura dei grattacieli, schermi di media proporzione nelle stazioni. Ma il piccolo schermo privato del cellulare prevale nell’attenzione della folla che si muove silenziosa e tranquilla senza guardarsi attorno.
Dopo la colonizzazione e le guerre, dopo la dittatura e la fame, la mente sudcoreana, liberata dal peso del corpo naturale è entrata in modo levigato nella sfera digitale con un grado di resistenza culturale che sembra inferiore a quello di ogni altra popolazione del mondo. Questa è la risorsa principale che ha permesso l’incredibile performance economica della rivoluzione elettronica. Nello spazio culturale svuotato, l’esperienza coreana è segnata da un grado estremo di individualizzazione e al tempo stesso è diretta verso il cablaggio definitivo della mente collettiva.
L’individuo sorride solitaria monade che cammina nello spazio urbano in continua tenera interazione con le foto, i twitters, i giochi che provengono dal piccolo schermo. Ma la monade solitaria è un’interfaccia levigata del flusso connettivo.
Secondo linguisti e antropologi l’abilità dei coreani nella trasmissione di contenuto digitale in modo più rapido di qualsiasi altra popolazione nel mondo è un effetto del sistema Hangeul, l’alfabeto coreano inventato nel XV secolo dal Re Sejong perfettamente adatto per la tecnologia digitale.
Il re Sejong, quarto monarca della dinastia Joseon, decise di creare uno strumento per rendere possibile la conoscenza popolare delle leggi, e ufficialmente rese pubblica la nuova scrittura, che oggi si chiama Hangeul, alfabeto artificiale inteso a tradurre nella maniera più facile il suono della lingua parlata. L’elite aristocratica del regno e i funzionari di corte, influenzati culturalmente dal cinese, non approvarono la promulgazione di un alfabeto nazionale, temendo che questo potesse minacciare il loro potere. Nonostante l’opposizione della classe privilegiata, Hangeul fu usato da una parte della popolazione, particolarmente dalle donne, e nel ventesimo secolo ha sostituito completamente la scrittura Cinese.
Hangeul è il solo sistema di scrittura nel mondo di cui conosciamo il nome del creatore e la data dell’invenzione.
“Sulla tastiera è possibile sistemare le consonanti e le vocali in maniera simmetrica, assegnando 14 tasti alle consonanti sulla sinistra e 12 alle vocali sulla destra. Le tastiere cellulari hanno meno tasti che le tastiere del computer, ma dato che ci sono solo otto lettere fondamentali nell’Hangeul, mandare messaggi da una tastiera che usi Hangeul è molto più facile di quanto sia con altri alfabeti. I produttori coreani di telefoni applicarono i principi dell’Hangeul nel metodo di costruzione delle tastiere.”