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Il Fenomeno Trolling: autocoscienza e dialettica servo-padrone ai tempi di Facebook

Tempo fa un amico mi scriveva: “Ho saputo che da qualche settimana stai litigando su Facebook con ****, che nel mondo del giornalismo italiano e’ un astro nascente. Stai attento, che per il mestiere che fai e’ pericoloso.” Non era la prima volta che ricevo consigli del genere, e non era la prima volta che ne conoscevo le ragioni. Quante volte mi sono detto: sii piu’ cauto, commenta solo quanto necessario; clicca “mi piace” quando non e’ compromettente; evita un linguaggio acido e polemico. Magra e’ la consolazione di non essere solo in questa debolezza. Un altro amico mi confessava:  ”Quando leggo la maggior parte dei giornali online mi faccio prendere da un moto di rabbia… A volte non riesco a fare a meno di intervenire, condividere, dire la mia. Ma per il mio lavoro e’ imbarazzante. A volte creo profili fittizi. O resto anonimo.”
 
Non e’ una sorpresa che la struttura dei social media e di Internet 2.0 in generale si basi sulla tendenza umana a condividere sensazioni e informazioni. Sulla nostra nostra incapacita’ di autocontrollo, sulla nostra mancanza di disciplina interiore. Il problema e’ che i social media rendono sempre piu’ trasparenti le nostre vite in una cultura che fa dipendere il nostro sviluppo sociale da una miriade di segni, di dettagli, di esami da superare. Rendendoci cosi’ vittime della nostra stessa addiction.

La sconfitta dell’anti-Europa comincia in Italia

L’unione europea nacque come progetto di pace e di solidarietà sociale raccogliendo l’eredità della cultura socialista e internazionalista che si oppose al fascismo.
Negli anni ’90 le grandi centrali del capitalismo finanziario hanno deciso di distruggere il modello europeo, e dalla firma del Trattato di Maastricht in poi hanno scatenato un’aggressione neoliberista. Negli ultimi tre anni l’anti-Europa della BCE e della Deutsche Bank ha preso l’occasione della crisi finanziaria americana del 2008 per trasformare la diversità culturale interna al continente europeo (le culture protestanti gotiche e comunitarie, le culture cattoliche barocche e individualiste, le culture ortodosse spiritualiste e iconoclaste) in un fattore di disgregazione politica dell’unione europea, e soprattutto per piegare la resistenza del lavoro alla definitiva sottomissione al globalismo capitalista. Riduzione drastica del salario, eliminazione del limite delle otto ore di lavoro quotidiano, precarizzazione del lavoro giovanile e rinvio della pensione per gli anziani, privatizzazione dei servizi. La popolazione europea deve pagare il debito accumulato dal sistema finanziario perché il debito funziona come un’arma puntata alla tempia dei lavoratori.
Cosa accadrà? Due cose possono accadere: o il movimento del lavoro riesce a fermare questa offensiva e riesce a mettere in moto un processo di ricostruzione sociale dell’Unione europea, o il prossimo decennio vedrà in  molti luoghi d’Europa esplodere la guerra civile, il fascismo crescerà dovunque, e il lavoro sarà sottomesso a condizioni di sfruttamento ottocentesco.
Ma come fermare l’offensiva?

Esorcismi satanici all’apparir del vero

Non sono un accanito tifoso di Nanni Moretti, non tutti i suoi film mi piacciono e lui mi è abbastanza antipatico. Ma alcune delle sue prove (Bianca forse più di ogni altra) denunciano il genio. E quando vidi Habemus papam mi inginocchiai davanti alla grandezza di questo regista.
Sullo sfondo della splendore barocco della Chiesa di Roma, incarnazione terrena di una potenza ultraterrena, quel film parla della depressione contemporanea: il mondo che gli uomini hanno costruito è  uscito dall’orbita dell’umano per entrare nell’orbita di una divinità tecnica che l’uomo ha creato e di cui ha perduto il controllo. Troppo complesso, troppo veloce, il mondo che la potenza tecnica ha sottratto alla volontà divina. Troppo crudele per poter essere elaborato secondo le categorie di cui l’umano dispone. E il divino è null’altro che la proiezione fragile di un’illusione umana, e a nulla serve dio, quando siamo finalmente capaci di comprendere l’ultima verità: che non vi è alcuna verità nella nostra storia, non vi è alcuna speranza, solo vi è il piacere dei sensi e della poesia, e la gioia della costruzione collettiva, che è illusione collettiva, costruzione di un ponte di sensi sull’abisso del non essere del senso. Caminante no hay camino, el camino se hace al andar.
Ma quanta energia occorre per camminare quando sappiamo che non vi è alcun percorso e alcun punto di arrivo, quanta energia occorre perché quel ponte possa sorreggere il nostro cammino, quanta energia occorre perché l’illusione possa produrre edifici eventi scoperte. Quell’energia si esaurisce quando l’entropia si impadronisce del cervello.

Aaron Swartz e Bartleby

Non ho mai conosciuto personalmente Aaron Swartz, e non posso interpretare il suo suicidio, perché quella scelta non è mai effetto di una singola causa ed è comunque impossibile da “spiegare”.
Eppure.
Eppure io so qualcosa su quel che l’ha spinto a fare quello che ha fatto.
Aaron era un programmatore, creatore del formato RSS, e anche scrittore, attivista e ricercatore. Recentemente ha svolto un ruolo centrale nella campagna SOPA (Stop online piracy act) che si è conclusa con un successo e ha impedito una limitazione dei diritti della rete. Era conosciuto dai suoi amici, ma anche dall’FBI per aver scaricato grandi quantità di dati per usarli nella sua ricerca e per rendere pubblici documenti soggetti a proprietà privata. Nel 2008 Swartz aveva scaricato e messo a disposizione di tutti circa il 20% del database Public Access to Court Electronic Records (PACER)gestiti dall’Administrative Office degli Stati Uniti.
Inoltre, secondo le autorità federali Swartz aveva messo in rete gratuitamente un gran numero di articoli accademici dato che come ricercatore disponeva di un account JSTOR.
JSTOR è un archivio digitale, e come altri database accademici rende disponibile testi a pagamento. Ogni articolo costa tra 19 e 39 dollari. Inoltre JSTOR accetta sottoscrizioni solo da istituzioni, il che significa che uno studioso indipendente o un ricercatore senza affiliazione istituzionale o un ricercatore precario non può accedervi.

Foucault per tutti. Lezioni di critica al neoliberismo

A metà degli anni ’70 Franco Fortini dedicò qualche pagina pungente all’impresa teorica del giovane Cacciari – si tratta più o meno dell’epoca di Krisis – impegnato allora a sdoganare Nietzsche e Wittgenstein dalla reazione idealistica e però, allo stesso tempo, deciso a ripiegare la potenza ermeneutica del pensiero della crisi sugli algidi orizzonti dell’analitica weberiana. Seppure timido rispetto a questi autori, Fortini ben colse già allora, il tentativo di apparecchiare un Nietzsche per tutti, buono per consolare i sacerdoti della pianificazione capitalista e carezzare i desideri sovversivi dei giovani filosofi. L’approccio di Cacciari fu allora descritto come un saggio immancabile di chi vuole ad un tempo dirsi belva e compagno: internazionalista e rivoluzionario certo, ma solo come sanno esserlo gli agenti delle multinazionali della finanza. È curioso notare come si ripresenti ad ogni tornante critico questa posa ambigua: antiaccademica ma d’ordine, coraggiosa nell’immaginare il futuro ma solo in quanto coincide col presente, tecnocratica ma certo infinitamente più sottile e forte di ogni nostalgia gauchiste, d’ogni amore per tutto ciò che é Stato.
 
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