Veterani USA: dentro l'abisso

Ho sempre desiderato scrivere dei veterani americani. Era il 2001 ed abitavo ad Atlanta, città del Sud-Est statunitense cara tanto al movimento afro-americano di Martin Luter King e Malcolm X, quanto al Ku Kux Klan (KKK), il movimento razzista bianco che da decenni incita alla white supremacy. Erano gli anni di 9/11, di Bush, dell’incitamento alla guerra contro il popolo Iracheno. Stavo lavorando a stretto contatto con un veterano ritornato da pochi anni dalla prima spedizione in Iraq. Figlio di famiglia povera e proletaria bianca in cerca di un riscatto, era un uomo alto dalla personalità forte e tormentata, dalla voce piena e pesante, dagli occhi sensibili. La guerra aveva lasciato in lui ferite aperte, ed il suo soprannome era Muzzle Head, testa di caricatore.

Fangs Hiding in the Green -- Impressions of Post 3/11 Japan

I visited my home country Japan for about two weeks in early June 2011. The main purpose of the trip was to meet with my comrades who are working on various anti-capitalist projects in Tokyo and Osaka, observe their everyday lives and share the prospects of their new struggle. I could not go to the disaster-stricken area, which I am hoping to visit on my next trip. In any case, as various reports indicate, the recovery is facing tremendous difficulties, despite the efforts of many, due to the magnitude of damages caused by the tsunami and earthquake overlaid with radiation. Some voices even indicate that the idea of recovery, that is to say, people continuously living there under radiation,is itself questionable. In this instance, the traditional notion of utopia, of self-recovery of community from within, might have to be replaced by a massive migration and the building of new communities elsewhere.

bleached bones

he died on tuesday. sick in the head. while he sighed, murmuring lies to the priest that preached, while prevaricating. while his sweat slid salty, clothes soaked with the life him leaving.

send him away and the priest ceases. close the door and she stoops. holding his left hand hard. holding back, his hair grey. in the darkness of a silence. only two consumed candles, scarcely illuminating. his spent gaze. and hard white sheets of marble.

my love, i leave. trapped here inside, i die with his body. you must me forgive, i not able. to live this life until the end. to do after all that infinite fatigue of. returning what i receive : everything.

Da soli non ci si rivolta: report dal meeting UniCommon, 12-13 maggio 2011, Roma.

 Gli scudi a forma di libro erano partiti da Roma – lo ricorderete – per fare il giro d’Europa e del mondo, sempre in prima fila nei cortei, con immenso successo. Ed è a Roma che bisogna tornare, per capire dove siamo rimasti. Non è un meeting che riguarda la sola Italia, quello a cui partecipo il 12-13 maggio, alla Sapienza, intitolato La rivolta di una generazione, dove la «generazione» è quella dei ragazzi senza futuro che in tutto il Vecchio Continente, negli Usa e nel Maghreb oggi si stanno risvegliando. Ma forse, in Italia più che altrove, questi ragazzi sembrano essere giunti a un bivio senza ritorno: diventare protagonisti di una sacrosanta rivolta, oppure restare per sempre in balìa di una politica spaesata e incattivita.

A sarà dura. Per loro!

Il grosso del concentramento è sotto il fortino militare di Exilles, da cui partirà il corteo principale in direzione del cantiere dove sorgerà il Treno ad alta velocità. In testa, lo spezzone dei sindaci no tav, con tanto di fascia tricolore a tracolla. Dietro i bambini, con palloncini e cartelloni colorati.
Prima della partenza del corteo principale, un nutrito gruppo di giovani si stacca per dirigersi verso Sant’Antonio. Siamo tra loro.
Il sole splende sulle nostre teste, mentre proviamo a immaginare quanto forte potrà battere sulle zucche vuote chiuse dai caschi blu.

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