Costringerci al nomadismo: se lo sgombero di Occupy Wall Street può far bene al movimento

Avevo visitato il primo campeggio di Occupy Wall Street il 17 settembre scorso, non appena s'era installato nello Zuccotti Park su ispirazione della rivista Adbusters. Era poco più d’un avamposto beduino nel deserto. Spoglio e quasi indecifrabile, per noi mediterranei barocchi, nel suo rigore puritano: pochi cartelli e qualche sedia, tende immacolate, volti ancora spensierati nonostante gli arresti già numerosi. I più giovani venivano mandati a fare provviste di kebab e pizza dagli ambulanti locali, che alla vista di qualche signorina-manager in talleur facevano l’occhiolino: Let’s occupy some bitches, men! Quelli più propensi alla performance artistica facevano capolino nei negozi, nei McDonald, improvvisando recital, canti e balli a tema. Nel campo c’era bisogno di tutto perché mancava tutto, essendo incerta la sua sopravvivenza.

The mystery of advertising and the city of the future

This text derives from a conversation with Robert Prouse
 
Preamble: the flood
 
As we witness the fireworks of global finance exploding in the sky, together with the narratives and hopes of the last three decades, we might be missing the silent activity that  swarms around our feet. On the muddy ground of today’s semiotic life, the sudden lack of our attention to the moves of semiocapitalism has not led to any slowing of its processes of transformation of our internal and external environments. Language, affects, emotions, attention and meaning continue to be subsumed by the production system, maybe now more than ever. They are extracted from us in rivers, they are conveyed into the catching areas of Capital, and then stored within the mighty dam of Marketing. There, they are supposed to work by inertia, pushing the engines of economic production with their sheer weight. It used to be called the advertising circle, then it became the totality of semiocapitalism.
 

La competenza dei tecnici: note su finanza, democrazia e indignazione.

Libero mercato e democrazia.

La storia lunga della forma politica europea è arrivata al tramonto. Prendere parte, in questo crepuscolo, è necessario. Ne va delle parole di domani. Tutti i nodi dell’ultimo scorcio di secolo vengono al pettine. A guardare bene è una buona notizia. Dopo saranno tempi nuovi. Certo, il tramonto può far paura, sembra un abisso, un precipitare lento e inesorabile. Come tutti i passaggi radicali, originari. Ma questa è la partita. Radicale, originaria. Coincide e conferma l’idea, la geografia della crisi: prima la Grecia - impedita, fatto enorme, di procedere ad un referendum popolare, che per quanto inadeguato aveva il sapore d’un appello al popolo in ultima istanza, perchè dicesse, prendesse parola sul destino proprio - poi l’Italia, ex-repubblica parlamentare le cui funzioni sovrane a lungo maltrattate, vengono commissariate da tecnocrati già protagonisti della crisi in corso. E la prossima sarà la Francia.

La Sinistra Fiduciosa

Mentre la Spagna si prepara alle elezioni e alla vittoria della destra, la Fundaciòn Idea – il laboratorio ideologico del PSOE) ha riunito in un Hotel di Madrid il 15 novembre i leader della sinistra europea.
 
C’era Alfonso Guerra, François Hollande, Pier Luigi Bersani, Jesus Caldera e l’ungherese Attila Mesterhazi. Quest’ultimo, che viene da un paese nel quale il governo è saldamente nelle mani di una coalizione di destra della quale fa parte (con il 20% dei voti) il partito Jobbit (i migliori) diretto discendente di quello che nella seconda guerra mondiale fu il partito hitleriano, ha preso la parola per dire: “Dieci anni fa incontrarci sarebbe stato una festa perché c’era Tony Blair al governo in Gran Bretagna, e Gerhardt Schroder in Germania. Oggi il pendolo in Europa è girato verso i partiti conservatori. Perché?”
 

#occupyervoice

#1440

occupy the Battle of Anghiari*

occupy the battle of Rome

occupy a woman in a gesture

#occuponslarésistance

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