A scuola di rivolta - Franco Berardi Bifo all'Accademia di Brera, Milano

Vorrei parlare di una cosa che tutti sappiamo ma che nessuno sembra avere la spudoratezza di dire: e cioè che il tempo dell'indignazione è passato e chi si indigna già comincia ad annoiarci, comincia a parerci ogni giorno di più l’ultimo difensore di un sistema marcio, di un sistema privo di dignità, privo di sostenibilità, privo di credibilità. Noi non ci dobbiamo più indignare, noi dobbiamo insorgere.

Sollevarci. Badate, sul vocabolario la parola insurrezione è spiegata in maniere differenti. Ma io mi attengo all’etimo. E per me la parola insurrezione significa levarsi in piedi, significa assumere in maniera intransigente la propria dignità di essere umano, di lavoratore, di cittadino. Ma significa anche un’altra cosa. Significa dispiegare nella loro pienezza le potenze del corpo, della conoscenza collettiva, della società, della rete, dell’intelligenza. Dispiegare interamente ciò che noi siamo, in maniera collettiva. Ed è questo il punto. Chi dice che l’insurrezione è un’utopia, talvolta è un cinico, talvolta è semplicemente un idiota. Chi dice che insorgere non è possibile, non tiene conto del fatto che a noi è già possibile quasi tutto, solo che questo quasi tutto è soggiogato dall’ossessione miserabile del profitto e dell’accumulazione. L’ossessione del profitto e dell’accumulazione ha portato il nostro paese e tutti i paesi europei sull’orlo di una catastrofe spaventosa, nella quale stiamo ormai scivolando, cerchiamo di riconoscerlo, siamo molto avanti su questo piano. La catastrofe della barbarie e dell’ignoranza.

In Italia, la riforma del governo Berlusconi e dei suoi ruffiani ha già tolto alla scuola, all’università e al sistema dell’educazione 8 miliardi di euro e altri ne sta togliendo. Il risultato lo sanno tutti e non soltanto a Brera, che resta uno dei posti privilegiati del sistema educativo italiano. Io ho insegnato anche in altre 3 o 4 scuole in questo paese. E so che cosa per esempio in una scuola serale per adulti di Bologna ha significato la riforma della ruffiana Gelmini: ha significato che il budget di cui quella scuola disponeva è stato ridotto a un terzo di quello che era fino a tre anni fa. Di fronte al processo di devastazione e imbarbarimento che questa riforma ha prodotto, noi non possiamo continuare a lamentarci. Noi dobbiamo dire: prima di tutto toglietevi di mezzo, e in secondo luogo ci penseremo noi. Toglietevi di mezzo, come hanno detto i cittadini di Tunisi, come hanno detto i cittadini del Cairo. Io non so come andrà a finire la rivoluzione o l’insurrezione dei cittadini dei paesi arabi. Molto dipende anche da noi, a mio parere: se l’Europa sarà capace di aprire una prospettiva laica e innovativa o se non saprà farlo. Non so come andrà a finire, so che si sono ribellati e che hanno vinto. Cosa hanno fatto? Hanno detto: noi di qui non ce ne andiamo. Non ce ne andiamo da questa piazza, non ce ne andiamo da questa stazione, non ce ne andiamo da questo parlamento. Non ce ne andiamo fino a che il tiranno e i suoi ruffiani non si saranno tolti di mezzo. Questo noi dobbiamo dire, questo noi dobbiamo fare. Questo entro la primavera dal 2011 deve accadere, in Italia. Noi occuperemo la stazione centrale di Milano, la stazione centrale di Bologna e la terremo, fino al momento in cui il tiranno e i suoi ruffiani se ne saranno andati.

Non perché il tiranno e i suoi ruffiani siano il vero problema. No sono il vero problema. Il vero problema è un’ossessione, che si concretizza nel potere finanziario e bancario, e nell’idea secondo cui la vita della società, la cultura della società, il piacere e il benessere della società non contano niente. Ciò che conta sono i fogli del dare e dell’avere, sono i profitti di una minuscola classe di sfruttatori e di assassini. I due problemi, quello del tiranno e dei suoi ruffiani e quello della dittatura finanziaria europea sono dal nostro punto di vista un problema solo, in questo momento. Anche se dobbiamo essere capaci di capire che non servirebbe a nulla cacciare il tiranno e i suoi ruffiani, se al loro posto venissero gli assassini, i D’Alema, i Fini, coloro che sono responsabili tanto quanto il tiranno e i suoi ruffiani. La distruzione della scuola italiana non è cominciata con il tiranno e i suoi ruffiani. E’ cominciata, per quel che ne so io, con la legge Rivola, di cui pochi si ricordano. E’ stata promossa dalla regione Emilia Romagna nel 1995 ed è la prima legge che riconosce alle scuole private il diritto al finanziamento pubblico. Che apre la porta, cioè, alla distruzione della pubblica e alla santificazione del Cepu, per dirne una.

Dunque vi è un problema immediato: tenere il paese, le piazze le stazioni in mano finché il tiranno e i suoi ruffiani non se ne saranno andati. Ma al contempo dobbiamo sapere che il potere, quello vero, non sta nemmeno più a Roma. Come ha detto il ministro Tremonti, che di queste cose se ne intende. Il 30 settembre in un’intervista su Repubblica, a uno sciocchino di giornalista che credeva di contestarlo, e che invece cadeva nella sua trappola, il ministro Tremonti rispondeva: ‘ma perché ve la prendete tanto con il governo Berlusconi, tanto, guardate, noi non decidiamo niente, le decisioni si prendono a Bruxelles.’ Bene, noi non lo sappiamo tanto, perché nessuno ce lo dice - chi ce lo dice? La Repubblica? Scalfari? Ce lo dice lui, forse? - noi ci pensiamo poco, ma dal 1 gennaio 2011 le decisioni economiche, sociali e finanziarie sul paese Italia, sul paese Francia, il paese Portogallo o il paese Grecia non le prendono più i parlamenti nazionali, le prende un direttorio finanziario che si è costituito formalmente a livello europeo. E’ la regola e l’applicazione feroce del principio monetarista neoliberale secondo il quale, per l’appunto, ciò che conta sono i profitti della banche, non tutto il resto. E’ dunque in nome della crescita, dell’accumulazione e del profitto a livello europeo che voi siete costretti a vivere una vita di merda, e la vostra vita sarà sempre di più una vita di merda se non vi ribellate, oggi, domani, subito! Perché ogni giorno che passa la vostra vita diventa sempre di più, inevitabilmente una vita di merda.

Dicono: ma l’insurrezione è una parola pericolosa. Ripeto: nella parola insurrezione non sono implicite le armi, perché le armi non possono riguardarci, per tante ragioni. Prima di tutto perché non sappiamo dove stiano, in secondo luogo perché sappiamo che qualcuno ce le ha, in terzo luogo perché sappiamo che esistono armate professionali pronte a uccidere come hanno ucciso a Genova nel 2001 e come hanno ucciso tante altre volte. E dunque non è quello il confronto che noi cerchiamo. Noi sappiamo che le armi di cui disponiamo sono le armi dell’intelligenza e le armi della critica, ma sono anche le armi della tecnologia. Noi abbiamo imparato per esempio la lezione di Wikileaks, e sappiamo che non è solo una lezione relativa al sabotaggio e all’informazione; è una lezione relativa all’infinita potenza dell’intelligenza in rete. E’ di lì che ripartiamo. Noi sappiamo come si fa, noi sappiamo come si entra nei vostri circuiti, noi sappiamo come si fanno impazzire i vostri circuiti, ma noi sappiamo anche come quei circuiti, che non sono vostri ma sono nostri, possono servire alla nostra ricchezza, al nostro piacere, al nostro benessere, alla nostra cultura. A questo possono servire i circuiti che l’intelligenza collettiva ha prodotto e che il capitalismo ha sottratto, ha privatizzato, ha immiserito, che il capitalismo usa contro di noi. Ecco, questo significa insurrezione: appropriarci di quello che è nostro, compiere un’indispensabile azione di riconoscimento del corpo collettivo, che da troppo tempo è paralizzato di fronte a uno schermo e che ha bisogno di ritrovarsi in una Piazza Tahir.

Un giornalista americano, Roger Cohen, ha scritto in un articolo molto intelligente: grazie Mubarak, perché resistendo hai permesso al popolo egiziano, che da tanti anni non si parlava, di stare lì in piazza per settimane e settimane... e come nelle guerre anche nelle rivoluzioni ci sono momenti di noia, e nei momenti di noia cosa si fa? Si parla, ci si tocca, si fa l’amore. Si scopre il corpo collettivo che da troppo tempo è stato paralizzato. Grazie Berlusconi, diremo noi, dopo che per alcune settimane avremo dovuto combattere nelle strade d’Italia. Ma dopo, nel momento in cui il corpo collettivo avrà saputo risvegliarsi, da quel momento in poi inizierà il processo di autorganizzazione dell’intelligenza collettiva. Questa è l’insurrezione alla quale io vi chiamo. Questa è l’insurrezione che potrebbe anche partire dall’Accademia di Brera, in un giorno di marzo del 2011. Perché il problema è che quello che io ho detto lo sanno tutti, magari non lo dicono in maniera così dettagliata, ma lo sanno. Occorre semplicemente dire: è possibile, siamo milioni che pensano la stesa cosa. Dunque la prossima volta che scendiamo in piazza in trecentomila, non torniamo a casa. Andiamo in piazza coi sacco a pelo, sapendo che quella notte non la passeremo nel nostro letto. Questo è il prossimo passaggio, questo è il passaggio che dobbiamo compiere. E’ semplice! Poi, il resto è complicato.

Io la mia lezione più o meno l’ho finita. Voglio soltanto ritornare qua. Questa mia iniziativa nasce all’interno di una situazione che voi tutti conoscete. Gli studenti, i docenti, i tecnici e i precari dell’Accademia di Brera, come quelli di ogni altra scuola e università d’Italia e non solo d’Italia, sanno bene cosa sta accadendo. Sanno bene che all’interno di un complicato balletto di ‘te la do, non te la do, forse sì, domani no’, all’interno di una cortina fumogena di incomprensibili barocchismi... il punto è, ‘I soldi non ci son più!’ Perché i soldi non ci sono più? Cosa è successo? Come mai sono scomparsi tutti quei soldi? A Brera ce n’erano un sacco, pare. Non ci sono più. Ma uno può dire anche, ma scusa l’Europa è ricca! Come mai tutto d’un tratto non ci sono più i soldi? L’Europa è ricca di milioni di tecnici, poeti, medici, inventori, operai specializzati, ingegneri nucleari... Come mai siamo diventati poveri? Cosa è successo? E’ successa una cosa molto semplice. Che l’intera ricchezza che noi produciamo deve essere versata nella casse di una minuscola minoranza di sfruttatori. Questo è successo! L’intero meccanismo della crisi finanziaria europea è stato finalizzato allo spostamento di ricchezza più straordinario che la storia umana abbia mai visto, dalla società verso la classe finanziaria, verso il capitalismo finanziario. Questo è quello che è successo! Dunque, quello che sta succedendo a Brera non è che un tassello, un aspetto dell’immenso spostamento di ricchezza, la nostra ricchezza, la ricchezza dell’intelligenza collettiva, che viene contabilizzata all’interno delle casseforti delle banche.

Bene , noi alle banche abbiamo deciso di dedicare un po’ di attenzione. E io vi comunico qua, in quanto docente precario di Brera, che d’ora in avanti le mie lezioni di svolgeranno in una banca. La prossima lezione io la terrò il 25 marzo là di fronte, dentro i locali del Credit Agricol. E’ là che si svolgerà, oltre la statua della quale qua vediamo il culo, nell’altro lato della piazza c’è una banca nella quale io chiedo di poter tenere la mia prossima lezione la mattina del 25 marzo, alle 11.30. E non lo faccio perché sono uno squilibrato individualista... Sono anche uno squilibrato individualista... Ma la ragione per cui prendo questa decisione e ve la comunico è perché si è costituito in Europa il Knowledge Liberation Front, che in italiano vuole dire Fronte di Liberazione della Conoscenza ‘ potevano essere meno retorici, i ragazzi... Il Knowledge Liberation Front indice per il 25 marzo un teach-in in 40 città europee. A Londra prima di tutto, perché come sapete il 26 marzo in Inghilterra, dopo tanti anni si tiene uno sciopero generale. Perché l’Inghilterra sta vivendo una tempesta di violenza finanziaria di proporzioni eccezionali e quindi il 26 marzo là si sciopera, si scende in piazza. Il giorno prima il Knowledge Liberation Front indice 40 azioni di teach-in in 40 città europee. Prima di tutto a Londra, ma anche a Parigi, Bruxelles, Berlino, Praga, Barcellona, Madrid, Bologna, Milano e in tante altre città. Noi faremo una cosa molte semplice: ci metteremo il vestito buono, andremo negli uffici di una banca, ci sederemo per terra, tireremo fuori una banana, un cappuccino e un panino, come si fa tra persone civili, e parleremo di biologia molecolare, parleremo di Goethe, leggeremo il Faust, leggeremo le poesie di Rainer Maria Rilke, qualcuno parlerà della poetica di Kandinsky e qualcun altro invece di fisica nucleare. Questo faremo il 25 marzo in 40 città europee, perché è giunto il momento che la società Europea ridiventi quello che ha potuto essere in alcuni momenti della sua storia: puramente e semplicemente una società civile. Grazie.

 

Video credits: thanks to Sabina Grasso