Cinismo, ironia e follia del media-potere Italiano

Mass Zynismus

Nel libro Le courage de la verité, trascrizione del corso al College de France del 1984 Le gouvernement de soi et des autres, Michel Foucault parla di Diogene e degli altri filosofi antichi che sono correntemente conosciuti come cinici, e collega il loro pensiero alla pratica del dire la verità (parresia). Nei nostri tempi moderni la parola cinismo ha acquisito un significato totalmente differente, quasi un significato opposto: una persona cinica, per noi, è qualcuno che abitualmente mente a tutti, specialmente a se stesso/a.

Ciononostante vi è una sorta di coerenza tra il piano concettuale della vecchia idea di cinismo – estrema autenticità, individualismo, comportamento ascetico e disprezzo del potere, e di quella moderna – adulazione, inaffidabilità morale, soggezione conformista al potere. La coerenza consiste esattamente nella sospensione della relazione tra il linguaggio e la realtà, nella coscienza della natura ambigua del linguaggio, particolarmente nella sfera etica. Perciò il cinismo ha molto a che fare con l’ironia. Cinismo e ironia sono due forme retoriche e due atteggiamenti etici che si fondano sulla sospensione della relazione tra realtà e linguaggio.

Tillich e Sloterdijk, scrivendo su questo argomento, usano due parole differenti per definire l’antico cinismo, oggetto delle lezioni di Foucault, e il cinismo moderno: Kynismus e Cinismo.
Eyes wide shut, l’ultimo film di Kubrik, ci dice che chi vuole sopravvivere deve piegarsi al male, nonostante la sofferenza morale che questo gli provoca. Alla fine del secolo che credeva nel futuro, il Cinismo sembra essere il solo linguaggio accettato, il solo comportamento cool. La parola “cool” è una chiave essenziale del cinismo contemporaneo, perché l’opposizione di cool e cinico suggerisce l’idea che la sola alternativa al cinismo sia la passione. La vera alternativa al cinismo non è la passione, ma l’ironia.


In Critique of Cynical Reason, pubblicato nel 1983, Peter Sloterdijk sostiene che il cinismo è la forma mentale predominante dell’era post-’68. Sloterdijk non descrive il cinico come un carattere sociale eccezionale, né come un anticonformista solitario, ma come una figura di massa, come l’individuo medio. 

Mentre Diogene e i suoi compagni cinici era individualisti ascetici che rifiutavano l’acquiescenza alla legge dei potenti, il cinico moderno è la maggioranza conformista del nostro tempo, uno che sa bene che la legge dei potenti è cattiva, ma si piega a quella legge, perché non è possibile fare altrimenti.

“questo è il fatto essenziale del cinismo moderno, la capacità di funzionare a dispetto di qualsiasi cosa possa accadere… circostanze e l’istinto di conservazione parlano lo stesso linguaggio; e gli dicono che è inevitabile che sia così.” (ibi, pag.5)

Il cinismo di massa contemporaneo può essere ricondotto a due radici differenti: una è il fallimento delle ideologie utopiche del secolo passato. Il secondo, più potente, è la percezione di irreversibilità e incontrovertibilità dello sfruttamento del lavoro, della competizione e della guerra. Il cinismo di massa contemporaneo è una conseguenza della dissoluzione della solidarietà sociale. La deregulation neoliberista  particolarmente la globalizzazione del mercato del lavoro e la sua precarizzazione hanno imposto la competizione come modo generale inevitabile della relazione tra gli attori sociali. I lavoratori che un tempo erano uniti da un legame di solidarietà sociale e da una comune speranza politica, sono ora obbligati a pensare in termini cinici: la sopravvivenza del più forte.

I conformisti neoliberisti di oggi sono eredi perversi del ’68. Quelli che sono saliti al potere dopo il 1989 in Russia, negli Stati Uniti, in Europa non sono liberi dall’ideologia come pretendono. La loro ideologia è una specie di fede dogmatica nella indiscutibilità dell’economia. L’Economia ha preso il posto della Ragione Dialettica onnicomprensiva del loro passato. Tendono a piegarsi davanti alla potenza che appare essere la più forte, ad accettare l’economia come necessità. Il problema è che nessuno può sapere quale sarà la tendenza più forte nel complicato divenire degli eventi. Questa è la ragione per  cui il cinismo è debole (nonostante la sua apparente invincibile forza): perché nessuno sa, e perché la singolarità irriducibile degli eventi non può essere predetta, o ridotta a necessità logica.

 

Ironia e cinismo


In molti punti del suo libro Sloterdyik identifica, o almeno assimila, cinismo e ironia, e non è l’unico a farlo. Naturalmente il linguaggio ironico, come il sarcasmo, forma aggressiva dell’ironia, possono essere espressione di cinismo. Ma ironia e cinismo non si dovrebbero assimilare. L’ironia può essere uno strumento linguistico per il comportamento cinico: sia l’ironia che il cinismo implicano una dissociazione del linguaggio e del comportamento dalla coscienza. Quel che tu dici non è quello che pensi. Ma questa dissociazione prende una direzione differente nell’ironia e nel cinismo.

"Il cinismo è spesso moralismo deluso, e una forma estrema di ironia.” (Jankelevitch: L’ironie, Flammarion, Paris, 1964, pag. 15-16, traduzione mia).

Il cinismo post-68 di conseguenza è l’effetto di un risveglio doloroso. Dal momento che la verità non può essere realizzata, sposeremo la falsità.
Ma qui ironia e cinismo divergono.

Il discorso ironico non presuppone mai l’esistenza di una verità che dovrebbe essere realizzata. L’ironia presuppone l’infinità dei processi di interpretazione, mentre il cinismo presuppone una (perduta) fede. La persona cinica ha perduto la sua fede, mentre quella ironica non ce l’ha mai avuta.
Nelle parole di Jankelevitch:

“L’ironia non è mai disncantata per la semplice ragione che l’ironia ha rifiutato di farsi incantare.” (op. cit, 32)

Il punto di partenza comune di ironia e cinismo sta qui: sia il cinico che l’ironico sospendono la credenza nel contenuto morale della verità (anche nel vero contenuto della moralità). Essi sanno che la Verità e il Bene non esistono nella mente di Dio, o nella Storia, e sanno che il comportamento umano non si fonda sul rispetto di alcuna legge.

Ma il cinico si piega alla legge, pur ridendosela dei suoi valori come falsi, mentre l’ironico sfugge alla legge, e crea uno spazio linguistico in cui la legge non ha alcuna efficacia.
Il cinismo di massa è aggressione, mentre l’ironia è fondata sulla simpatia. Quando sei ironico in un contesto sociale presupponi che i tuoi interlocutori condividano le stesse implicazioni linguistiche, le stesse presupposizioni. L’ironia non é come menzogna.

“La menzogna è uno stato di guerra, mentre l’ironia è uno stato di pace. Il mentitore non è d’accordo con l’ingannato. La coscienza ingannata arriva in ritardo rispetto alla coscienza del mentitore, che cerca di mantenere il suo vantaggio. L’ironia invita all’intellezione e chiede un’eco fraterna di comprensione.” (ibi, pag. 63-4)

 

La dittatura dell’insensatezza

Negli anni ’70, leggendo Deleuze e Guattari la coscienza del movimento autonomo aveva scoperto che la realtà non ha significato, il significato lo deve creare il movimento che attraversa la società modificandone linguaggi forme di auto rappresentazione e aspettative di futuro. Il movimento autonomo si era liberato dell’idea che l’orizzonte etico sia segnato dalla necessità storica, sperimentando la modalità ironica dell’agire sociale. Nello spazio dell’indeterminazione morale l’enunciazione linguistica e l’azione politica sono prive di ogni fondamento ontologico. Volontà di potere e ricerca del bene, che erano legate nel contesto dell’ideologia storica, ora divergevano. Questa è la divaricazione in cui si apre la divergenza tra ironia e cinismo.

L’ironia sospende il valore del significante e sceglie liberamente tra migliaia di possibili interpretazioni. Il cinismo parte dalla stessa sospensione, ma è una modulazione servile dell’ironia, è ironia al servizio del potere. L’ironia apre il gioco delle infinite possibilità, il cinismo è dissociazione tra etica e possibilità.
L’ironico dorme felice perché nulla può risvegliarlo dai suoi sogni. Il cinico ha il sonno leggero; dorme, sogna, ma si sveglia appena il potere lo chiama.

La relazione tra ironia e cinismo diviene argomento interessante alla fine degli anni ’70, quando in Italia un movimento fondato sulla pratica di massa dell’ironia fu cancellato da una massiccia onda di cinismo organizzato che condusse alla fine alla dittatura mediatica di Berlusconi.
La transizione italiana dagli anni ’70 agli anni ’80 si potrebbe descrivere come una transizione dall’ironia al cinismo. Non voglio dire con questo che gli anni ’70 siano stati un decennio ironico. La cultura politica predominante non era affatto ironica. Ma una parte considerevole della società italiana in quegli anni trovò nell’ironia un buon terreno di comprensione. E la diffusione delle radio libere, fu un salto fuori dalla severità ipocrita del sistema mediatico catto-comunista, verso lo stile ironico che influenzò i linguaggi sociali nella seconda metà del decennio.
Ma il movimento delle radio libere aprì anche le porte all’invasione del mediascape da parte della pubblicità e delle televisioni commerciali. Né poteva fare altrimenti.

Publitalia e Mediaset, le creature di Berlusconi che divennero le principali imprese culturali del decennio ’80, imitarono lo stile linguistico delle radio, assunsero professionisti che si erano formati nel circuito delle radio libere e dei movimenti. E volsero l’ironia in cinismo.
La transizione dalla modalità culturale delle radio libere a quella delle televisioni commerciali è forse il punto di vista migliore per comprendere il mutamento culturale che si verificò nel decennio ’80, portando il paese verso la catastrofe che oggi è totalmente dispiegata, e le cui conseguenze sono difficili al momento presente da prevedere. Questa transizione può essere descritta come una transizione dall’ironia al cinismo.

Anche se non è conosciuto come scrittore o come ideologo, il più volte Presidente del Consiglio Berlusconi, uno degli esempi più notevoli del cinismo contemporaneo nel mondo, scrisse una prefazione all’Elogio della follia erasmiano. La rivalutazione della “locura” barocca segna, nel suo caso, l’affermazione dell’arbitrarietà del potere.
La post-democrazia italiana è fusione di spregiudicatezza economica e follia aggressiva: una cultura il cui marchio è una finzione di libertà che nasconde disprezzo e colonizzazione mentale.