Essere altrove (e solo connettere!)


«I'll be all around in the dark - I'll be everywhere» 

- Tom Joad 

SCOMPARSA. Molti dei gruppi radicali del III Millennio hanno scelto, almeno a parole, di rinunciare allo scontro frontale con il Potere. Un Potere che ha perso ogni significato, che è diventato pura simulazione. Elogiano, questi gruppi, la responsabilità individuale. Scelgono la «scomparsa», come tattica politica ed esistenziale, il rifugiarsi nelle mille «zone temporaneamente liberate». Di «Potere» non ne vogliono affatto, temendo il conflitto – o la somiglianza – con la struttura gerarchica di dominanza.

Il fuggire, del resto, si estende a tutti i settori della vita di relazione: dagli affetti alla sessualità, dal lavoro alla politica. È una strategia già pronta all’uso, forse la più semplice, in contrasto con l’aggressività degli stanziali. Ma spesso, la linea operativa della fuga, servendosi proprio di una pulsione aggressiva – come la volpe che si mutila per liberarsi dalla tagliola – finisce con dare nuova linfa alle logiche di potere, dominio, o persino a un proposito conservativo: si può anche fuggire per non perdere il proprio status.

Inoltre anche i nomadi, per sfuggire all’angoscia, per rassicurare se stessi, hanno bisogno di una qualche sovrastruttura di riferimento. Il rifiuto dell’asservimento viene oggi espresso attraverso una lista infinita di «gesti negativi», come ad esempio l’astensionismo, e si può tranquillamente tradire la fiducia di un proprio simile, lasciare per strada un altro nomade, ma pochi se la sentono di dire davvero «No» a totem come il lavoro, o le tasse. (Non si sono mai visti situazionisti così puntuali, precisi e pedanti di quelli di questo decennio.) 

PERSUASI. Eppure niente mi sembra più eccitante della possibilità di costruire un’opinione pubblica trans-nazionale, anti-patriottica, laica, senza radici o ideologie. Ma la retorica sull’altrove spesso dimentica che ogni «rete», per quanto sradicata, è comunque costruita al saldo di sacrifici e di perdite; con difficoltà pratiche a gestire legami virtuali, col sopraggiungere di incostanza e dello scoramento; con gruppi che in un attimo nascono e in un attimo si sciolgono, o che perdono i loro componenti perché risucchiati da altre pressioni o dalla precarietà, e nonostante questo – o proprio per questo? – costantemente in gioco, a riprovarci.

Questo conflitto tra «sentimento sociale» e «volontà di fuga», per parafrasare le teorie adleriane, viene rimosso con un chiacchiericcio ingannevole. Con il mito dell'ubiquità superomistica. Con la leggerezza dello sradicamento. Ma si può ancora immaginare un altrove che sia la porta d’accesso per la vera conoscenza dell’Altro, e non solo espressione dell’iper-individualismo?

Certo, il rischio opposto è quello di esaltare, cinicamente, un qualche valore di «resistenza» fine a se stesso, di «immolazione». O quelle «appartenenze territoriali» di cui non si sente davvero la mancanza. In uno scenario di sradicamento forzato, potremmo indurre invece i protagonisti del nuovo esodo (e non solo i più poveri) a ridiscutere la propria «appartenenza», e a parlare della propria terra d’origine senza indulgere in nostalgie o sciovinismo. Ad affrontare, magari con un linguaggio nuovo e spiazzante, le proprie subculture.

Non è necessario che i «persuasi» – siano essi scrittori, esuli politici, precari, impiegati operai - permangano fisicamente in un determinato luogo. Il punto è chiedersi, piuttosto, come una rete di persuasi possa essere migrante e allo stesso tempo integrarsi al suo interno.

SCIAMANI. Per le società primitive, durante le precise ritualita' gli stati allucinatori, l’altrove poteva essere «visitato» solo con la guida spirituale di uno sciamano: una figura sapiente ed equilibrata, che aiutava a integrare la gioia della trasformazione – che ogni allucinazione comporta – con la realtà oggettiva. Che poi è quella della communitas, senza la quale chiunque si fosse trovato catapultato nell’altrove sarebbe stato di sicuro in pericolo.

In questa visione l’essere altrove può ancora essere un «mezzo», per incontrare se stessi e gli altri, a livelli percettivi abitualmente sconosciuti: qualcosa di ben diverso dalle fughe alienanti e autodistruttive della nostra civiltà.

Il problema di oggi è che sembrano essere venuti meni gli sciamani, ovvero chi dovrebbe aiutarci a connettere, a tener ben stretta la realtà oggettiva/comunitaria: troppi progetti, troppe passioni sono spenti con l’illusione del successo facile, della meritocrazia, senza alcune considerazione per l’individuo che vi sta dietro. Anche le esperienze attivistiche si vanno definendo ormai soltanto in base all’opportunità, e alla professionalità che sottintendono.

Sta qui, in questo vuoto, la responsabilità dei «maestri», che ci piacerebbe piuttosto definire «educatori» o «accompagnatori». Sono pochi quelli volenterosi di affrontare la più difficile delle iniziazioni – o delle persuasioni: avere un rapporto diretto con le pratiche, saper guardare e interrogare. Partecipare alla realtà che si investiga. Al contrario, si finisce col procedere per mode, accendendo solo pulsioni randagie, e idee che si fanno merce.

RIFRAZIONE. Chi fugge con risentimento spesso prova, più che comprensibilmente, un rancore profondo verso ogni forma di Potere - quel Potere che ci ha incatenato o che ci ha sradicato, dipende dai punti di vista. A causa del suo risentimento è sempre più in là: sempre impegnato nel tentativo di imporsi, fosse anche nello sbandierare compiaciuto la propria assenza. Prigioniero della propria assoluta, totale, paralizzante aspirazione a rompere col passato, prende se stesso come unica misura del mondo. Inevitabilmente: ha compiuto la sua scelta in solitudine.

E così strangola ogni possibile manifestazione di sentimento sociale, di communitas. Si sgrava di qualunque peso. Frammenta tutto ciò che potrebbe avere una «struttura». Il suo è un individualismo tirannico e paralizzante perché motivato, in fondo, da un sentimento d’inferiorità – l’essere sempre provinciali rispetto a qualcun altro – ormai cristallizzato in complesso. Quasi come a fare di questa strategia di «rifrazione», postmoderna e pre-apocalittica, l’unico linguaggio possibile.

ONLY CONNECT! Se c’è invece qualcosa che si può recuperare, e davvero studiare, dalla morale dei grandi romanzieri ottocenteschi, da Dickens a Tolstoj a Hugo, così come dai grandi reporter come Capote, Kapuscinski o Chatwin, è un esercizio di opposta e di non incompatibile fattura: capovolgere quell’«je est un autre» di Rimbaud. Provare a dare un «io» al «qualcun altro». Collocarsi dietro gli occhi di diversi «io» che raccontano storie altrui, e provare a riconoscersi, anche forzandosi, dentro quest’immedesimazione.

Conoscere l’Altro e scoprire l’altrove, dunque: per costituirsi come comunità «attiva», formata né da padroni né da schiavi. Capace di superare se stessa e di riadattarsi, continuamente. E soprattutto capace, aggiungerei, di connettere, raffrontare, allacciare, e solo dopo intuire ciò che c’è da intuire, sognare futuri orizzonti, per dare una prospettiva al dissenso, alla rivolta.

Provare a raccogliere e raccontare le traiettorie individuali, a partire dalla propria ma non solo dalla propria, e farlo negli anni in cui l’empatia e la voglia di prendere a morsi la realtà sono più potenti: durante la giovinezza. Sapere che nel dischiudersi di un’infinita gamma di possibilità si nasconde anche un’infinita gamma di perdite, di amputazioni, di sconfitte, ma non per questo rinunciare al viaggio.

Solo in questo modo sento di poter inseguire l’altrove, senza che resti soltanto una fuga, ma un incontro al tempo stesso angosciante e fuori controllo, un incubo oppure fonte di ispirazione, e di reazione, per i conflitti che ci inseguiranno. Condividere ogni storia, affinché altri sappiano. Affinché altrove ci si possa dischiudere alle possibilità che ogni storia porta con sé. E trarne nutrimento.

«Only connect! That was the whole of her sermon. Only connect the prose and the passion and both will be exalted, and human love will be seen at its height. Live in fragments no longer».

- il motto di Casa Howard, di E. M. Forster.