Virgen de los Deseos - la politica desiderante di Mujeres Creando

Oh Vergine dei Desideri,
“dacci la grazia di non essere nè vergini nè madri. Liberaci dall'autorità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Fa che siamo noi a decidere per noi stesse. Fa che il potere giudiziario e la Chiesa ci liberino dalla loro misogenia. Fa che il diritto di decidere se il frutto del nostro ventre è benedetto o meno sia solo nostro. E non indurci nella tentazione di non lottare per i nostri diritti, ma concedici il miracolo della legalità dell'aborto. Amen”.

Comincia così la Oración por el Derecho al Aborto di Mujeres Creando, un collettivo anarco-femminista boliviano di donne indigene, lesbiche ed eterosessuali di La Paz.

Situate in una casa rosa shocking nel centro altissimo e antico di La Paz, Mujeres Creando è un collettivo di prostitute, donne lesbiche ed etero, disoccupate e intermittenti che affermano la propria differenza a partire dal desiderio. Virgen de los Deseos è il nome della loro casa, e per loro la Vergine del desiderio è non solo il referente ironico delle orazioni politiche, ma è anche il simbolo sovversivo del desiderio e della ribellione, cui si rivolgono pregando: “Ave Maria, llena de rebeldìa”, in un controcanto ribelle.

Paladine del desiderio collocate dalla nascita lungo assi di differenza, le Mujeres Creando si definiscono “esuli del neoliberismo”. Esiliate dal sistema politico, invisibili nel mercato, esiliate dall'universale maschile e dalla libertà sessuale, si esprimono attraverso i graffiti delle strade di La Paz per sovvertire l'ordine simbolico del paese e l'universale patriarcale dell'epoca neoliberista o socialista. Sono soggetti nomadi, le Mujeres Creando, ancorate ad una collocazione storica ben determinata che però non possono dismettere come i serpenti abbandonano la vecchia pelle. Si collocano così nella corporeità del desiderio per produrre controcanti di ribellione rivolti indistintamente alla Chiesa, allo stato patriarcale, alla società neoliberista, al partito, ai diritti civili. “Civismo rima con fascismo”, scrivono. “Tutti i partiti sono un'arma carica di sangue, machismo e corruzione”. Perciò noi “non abbiamo linea, siamo tutte curve”. Non vogliamo “nè Dio, nè marito, nè boss, nè padrone”: solo ribellione.

L'apparenza paradossale, poetica e provocatoria di Mujeres Creando nasconde una riflessione politica complessa, decisamente dissonante in Bolivia. Il richiamo alla sovversione di stato, mercato, famiglia, potere patriarcale e identità indigena avviene, infatti, all'interno di uno stato socialista che confligge profondamente con i concetti di desiderio e differenza. Più precisamente, la politica desiderante di Mujeres Creando si colloca in una geografia di influenze bolivariane, guevariste, identitarie e post-coloniali, attraversata negli ultimi anni dalla teologia della liberazione e dal nativismo, dai movimenti argentini e dalle mobilitazioni indigene, per finire nel Movimento al Socialismo (Mas) di Evo Morales, ove spazio per loro, di fatto, non c'è più. Raul Zibechi individua quattro principali assi dei movimenti sudamericani contemporanei: oltre all'influenza del guevarismo e della teologia della liberazione, sottolinea l'importanza delle esperienze indigene di educazione autonoma iniziate dopo l'esperienza dell'EZLN in Messico, e i movimenti ambientalisti ispirati alla cosmovisione indigena. Negli ultimi anni tutti questi sono stati importanti: le esperienze sociali di autogestione delle risorse naturali si estendono dall'Amazzonia alla Patagonia trasformando la cosmovisione indigena nel perno di movimenti “eco” che propongono un modello alternativo di sviluppo. L'esperienza dei movimenti argentini ha diffuso l'esperienza del baratto fondendosi con la tradizione indigena dello scambio. La diversità di questi movimenti costituisce la ricchezza innovativa più ispirante del Sud America contemporaneo. Lo stato indigeno e socialista di Evo Morales è riuscito, in modo affatto scontato, a far confluire entro una stessa cornice statuale  queste differenze. Proprio in questa confluenza emerge, tuttavia, un vero e proprio problema.

La politica boliviana del Mas ha avuto negli ultimi anni posizioni piuttosto ispiranti e innovatrici. L'origine india e cocalera di Evo Morales ha certamente consentito una particolare enfasi ai principi della vita indigena, cosa che ha dato credibilità alla politica ambientalista boliviana, specie dopo il ruolo centrale che la Bolivia ha giocato dopo il vertice di Copenhagen. Al Vertice di Copenhagen, Evo Morales si è schierato fortemente dalla parte dell'umanità che difende la cultura della vita, smarcandosi insieme a Fidel Castro dalla guerra, i combustibili, e le politiche globali che umiliano la terra. “La Terra può ed esisterà senza l'essere umano, ma lui non può vivere senza di lei, per questo motivo è più importante il diritto della Terra che i diritti umani, sebbene difendere la Terra è difendere la vita e salvare l'Umanità”, ha dichiarato allora. Dopo il Vertice di Copenhagen, la Bolivia si è fatta promotrice di un nuovo modello di sviluppo ispirato fortemente alla cosmovisione andina, alternativo al modello neo-liberista angloamericano, e attento al bene comune. La nuova costituzione boliviana (come la costituzione ecuadoriana del 2008) basata sul concetto quechua di buen vivir o sumak kawsay, riconosce così per la prima volta il carattere plurinazionale dello stato, i diritti dei popoli originari, definendo la Bolivia una società plurale e pluralista armoniosamente inserita in un contesto cosmogonico rispettoso dell'acqua, delle foreste, dei boschi, del cibo, della vita, dei semi, dell'atmosfera. Buen Vivir indica un'“etica della Terra” ispirata ai popoli andini, dai quali rinasce un'esigenza di felicità in armonia con la natura articolata in termini collettivi e comunitari. L'idea seducente di Buen Vivir, ripresa in Italia da Giuseppe de Marzo, è stata il traguardo più interessante del processo costituente boliviano. D'altro canto, mentre la difesa della Pachamana giustamente incantava la critica internazionale, tale traguardo occultava una altro fatto: la negazione del diritto all'aborto e della libertà sessuale.

Facciamo un passo indietro, perchè in questa storia complessa ci sono molti punti da evidenziare. L'affermazione del diritto alla terra, all'insegnamento delle lingue indigene, all'educazione e alla salute interculturale, nasce dall'assemblea costituente iniziata negli anni novanta dalle mobilitazioni dei movimenti indigeni “della terra bassa”, dai movimenti per l'acqua di Cochabamba, e dalle esperienze autonome di donne indigene e campesine, sino a divenire terreno costituente del Movimento al Socialismo. Il Movimento al Socialismo opera in questo percorso un'altra capriola, in quanto per la prima volta riconcilia alcuni dei nodi che storicamente hanno contrassegnato il rapporto tra i popoli indigeni e la storia bolivariana e guevarista. La storia boliviana post-coloniale è segnata fortemente da due nomi: Simon Bolivar e Che Guevara, entrambi guerriglieri romantici e idealisti, per cui Bolivar, di formazione illuminista europea, realizza l'indipendenza di buona parte dell'America Latina dal giogo spagnolo, e la sua idea d'indipendenza dell'America Latina viene ripresa poi nell'esperienza guevarista, che a sua volta trova origine nella storia bianca e meticcia, e fine nella diffidenza dei popoli nativi. In realtà, l'ideale socialista della libertà sudamericana non si è mai realmente riconciliato con la storia indigena. L'esempio più stridente è ancora visibile a la Higuera, il villaggio boliviano nella provincia di Vallegrande, dove il Che è stato catturato con la complicità della popolazione locale. Questa parte di storia, ancora sussurrata, rivela tra le altre cose la difficoltà di un movimento di lavorare realmente con le differenze, difficoltà che, in quegli anni, ha posto la parola fine ad una delle esperienze più ricche d'amore rivoluzionario della storia recente.

In questi anni, Evo Morales ha più volte definito la sua politica come il miglior omaggio all'eredità bolivariano-guevarista; ha rievocato l'eredità bolivariana nell’Alleanza Bolivariana per i Popoli di Nuestra America (ALBA), ed ha rinconciliato le dissonanze storiche del guevarismo con i popoli indigeni nel socialismo di stato. Così facendo, tuttavia, ha non solo guidato la tradizionale differenza indigena a confluire lentamente in una politica statuale identitaria che trova critiche anche internamente, data la lunga e complessa storia dell'indigenismo separatista, ma ha oscurato e assimilato la differenza. La costruzione storica di una nuova identità statale antagonista, legittimata dal fervore per la politica ambientale boliviana, è dunque ad un tempo geopoliticamente strumentale come forza antimperialsita, e catacomba per le differenze. Entriamo qui in un terreno scivoloso, nel quale da un lato le esperienze di Chavez o Morales sono state considerate dalle sinistre europee come esempi di paesi in cui “il popolo è al potere nel pieno senso sovrano del termine”, come ha affermato Zizek. E dall'altro tali esperienze avvengono con il radicale oscuramento, o l'assimilazione, delle differenze indigene e del femminile. La cosa è ancor più grave nella Bolivia contemporanea, in quanto nel quadro rivoluzionario della Bolivia Masista vive ancora censurata una profonda violenza di genere, in un contesto difficilissimo, ove il femminicidio e la mortalità infantile riguardano una percentuale altissima di donne, e la violenza domestica arriva al 70%. Ecco che mentre la nuova costituzione affermava il diritto alla vita della Pachamama, si consumava con duplice beffa il successo taciuto della Chiesa Cattolica e delle forze conservatrici nel negare il diritto alla libertà sessuale e all'aborto per le donne. La negazione del diritto d'aborto, scomparso nella critica internazionale dietro ai traguardi della politica ambientale, ci parla così di una censura strillante, che descrive non solo una struttura di dominio maschile viva e piena di consenso in Bolivia, ma anche la miopia complice di quel pensiero Europeo che strumentalmente la decanta. Torna qui a mente Deleuze, quando diceva che c'è sempre una costante nella maggiorità, costante che suppone uno stato di diritto e di dominio tale da rendere possibile la maggiorità stessa, ma che la maggiorità nega la possibilità del divenire: il divenire è guidato dalla differenza, mentre nella maggiorità domina la costante.

È interessante soffermarsi per un istante su questo punto, in quanto non solo questo punto ci interroga sulle potenzialità effettive delle cosiddette “cause perse” di Zizek, ma perchè da qui diparte anche la critica che Mujeres Creando fa al Buen Vivir, o l'idea della difesa della Pachamama come bene comune. La difesa della Pachamama è imprescindibile per Mujeres Creando. Tuttavia la connessione del Buen Vivir ad una cosmogonia indigena basata su una rappresentazione tradizionale del ruolo della donna confligge con la libertà delle donne e con l'affermazione politica della differenza. Il comune, per Mujeres Creando, non è il Buen Vivir, o il richiamo ad un ruolo armonico e tradizionale di uomini e donne con la natura, ma è il risultato di un processo di produzione che nasce dalla differenza. In questo senso, l'unico universale possibile è il divenire di tutti, come scriveva Deleuze, e solo su questa soglia la differenza e il comune trovano sincronia proliferante.
Ecco che Mujeres Creando si colloca al centro di una intersezione di complessità rivelatrici. Il loro caso si pone al centro di sistemi di oppressione interrelati, rispetto ai quali il divenire può nascere solamente a partire della sovversione delle matrici geneaologiche della storia coloniale, patriarcale e machista. La straordinarietà dell'azione politica di Mujeres Creando risiede in questa capacità, oltre che nell'utilizzo dei concetti francesi di differenza e desiderio nella risposta a queste sedimentazioni, qui realizzando ciò che Spivak anticipava quando ammetteva che quasi inevitabilmente la critica post-strututralista agli universali etico-politico-sociali europei nasce nel Nord dell'Atlantico ma trova potenza affermativa a Sud. Ecco che in un contesto giunto al collasso del significante, al punto che la rivoluzione diventa molare e al suo interno confluiscono determinanti reazionarie, la politica di questo collettivo anarco-femminista non solo fa da cartina tornasole delle contraddizioni della Bolivia Masista, ma fa da cartina tornasole all'Europa mostrandoci la potenza della riterritorializzazione nel cuore post-coloniale del Sud dei concetti europei di differenza e desiderio. Nella loro politica poetica e dissacrante, Mujeres Creando rivelano dunque ciò che sfugge spesso alla critica Europea, e lavorano per liberare i significanti dal peso della storia a partire dalla soglia controvento di una sedimentazione di oppressioni. L'affermazione che “Eva non nasce dalla costola di Evo”, in una critica frontale al socialismo indigeno di stato, diviene così un atto politico rivoluzionario in cui il coraggio della verità si fa evento. Con la stessa potenza criticano la chiesa: “noi siamo figlie di Dio... e fidanzate della Vergine”. Criticano il concetto di identità: “non siamo originarie, siamo originali”. Criticano il linguaggio, affermando di essere tutte putas e maricones, perchè “in questa affermazione si eclissa la famiglia patriarcale”. Ed esprimono il desiderio di produrre relazioni affettuose con tutti i subalterni: le prostitute, reali “vergini del desiderio”, e la comunità LGBTQ, perchè “bisogna essere valorosi per essere gay”. Poetiche, stonate, controvento e dissacranti queste donne sostengono così il coraggio di peccare, di essere “infedeli alla civiltà”, al partito, a Dio e al marito in un'arte della slealtà, come direbbe Braidotti. Questo femminismo, che “fa muovere, rimuovere e commuovere” ci pone dunque di fronte a svariati interrogativi. In particolare uno: se è proprio vero, come diceva Spivak e loro dimostrano, che il post-strutturalismo si fonda sul decentramento dell'egemonia europea al punto che inevitabilmente esso trova reale espressione solo nei Sud, che ne facciamo in Europa di questi intramontabili universali?

 

Questo articolo è stato pubblicato su Loop #13