Pesci


Non aveva avuto il tempo di cambiarsi e il colletto della camicia iniziava a dargli fastidio. Era un colletto di quelli rigidi, da cerimonia. Considerando il prezzo totale della camicia, quella strisciolina di amido e tessuto doveva valere almeno dieci sterline. Più o meno il rimborso spese di un intero giorno passato al ‘lavoro’. E, per stare al ‘lavoro’, quella camicia era d’obbligo. Non c’era una vera e propria divisa, se non il prezzo dell’abbigliamento.


Rallentò avvicinandosi al semaforo e slacciò il colletto. Qualche tempo prima avrebbe provato rabbia, adesso era solo fastidio. Con il fastidio si può avere pazienza, aspettare che il semaforo diventi rosso e liberarsene con un colpo di dita. Oppure, ci si può sempre distrarre.


F si mise una sigaretta tra le labbra, guardò il semaforo verde e schiacciò l’acceleratore.  Il ‘lavoro’ si chiamava Sketch e non era un vero lavoro. Prima di tutto perché allo Sketch nessuno si considerava un lavoratore. Erano tutti organizzatori, facilitatori, designer, artisti. Lo Sketch non era solo un ristorante di lusso e un club privato. Era uno stile vita. Molto privilegiato. F, poi, era ancora meno un lavoratore, dal momento che non veniva nemmeno pagato. Quello che lui faceva allo Sketch era una internship, un’iniziazione. Per questo non veniva pagato. Anzi, avrebbe dovuto pagare lui stesso per il privilegio di respirare l’aria dei suoi clienti e di vedere come si vive tra gli Dei.


La strada era poco trafficata e F schiacciò il bottone dell’accendisigari e quello della radio. Un talk show. ‘I mari si sono svuotati, si sa da un pezzo. Certo che i nostri genitori non se lo sarebbero mai immaginato. Niente più pesci nei mari. E una foresta di alghe che ogni giorno invade l’acqua, senza nessun animale rimasto a mangiarla. Lei pensa che questo sia un trend irreversibile, professor...’ Radio4, decisamente il canale sbagliato. F prese l’accendisigari incandescente e schiacciò di nuovo il bottone della radio. Michael Jackson. Ancora le canzoni di Michael Jackson, morto da quarant’anni. F tirò un paio di boccate dalla sigaretta e cambiò canale. Era solo fastidio, niente per cui scomporsi.


Il nuovo canale trasmetteva musica house piuttosto standard. Forse anche quella era vecchia di quarant’anni, ma del resto la house non ha mai avuto alcuna ambizione di evolversi nel tempo. È come il rumore dell’asciugacapelli o il suono di chi piange - il suo bello sta nell’essere sempre identica, senza bisogno di immaginazione. Il più delle volte, l’immaginazione non porta nessun beneficio. Considerando la sua situazione, F non aveva dubbi al riguardo - se non fosse stato per l’immaginazione perversa degli chef dello Sketch e dei loro famelici clienti, lui non si sarebbe trovato in quella macchina, diretto verso i mari della Scozia settentrionale. Londra-Scozia, sono almeno otto ore di macchina. E tutto questo perché a qualcuno l’idea che il pesce fosse scomparso dai mari non era sembrata una ragione sufficiente per rassegnarsi. Per loro quello non era un semplice fastidio, ma una sfida. Forse era per quello che loro erano i padroni dello Sketch, mentre F era solo un apprendista in viaggio forzato.


Il giorno che gli avevano comunicato l’ordine di quel viaggio lo avevano fatto chiamare nell’ufficio del direttore. Ovviamente, non poteva trattarsi di un comune ufficio, e quando F era entrato il direttore lo aveva accompagnato attraverso una suite di alcune stanze, fino a quella che sembrava essere una camera da letto. Il direttore si era seduto su un sofà d’angolo e aveva fatto cenno a F di prendere posto su uno sgabello di fronte a lui, tra la finestra e il letto a baldacchino.


‘Vedi, ragazzo, quello di cui ti voglio parlare oggi è una faccenda piuttosto privata’ aveva esordito il direttore, accavallando le gambe. F era rimasto immobile, leggermente sorpreso dal trovarsi da solo col direttore - e nella sua camera da letto da lavoro. ‘Si tratta di un progetto molto innovativo. Sperimentale. Non è una cosa facile e non ti nascondo che ci sono dei rischi. Ma sai che allo Sketch noi siamo capaci di prenderci dei rischi.’ Fece una pausa e passò lentamente lo sguardo sullo sfarzo della stanza, come se volesse indicarne ogni dettaglio. ‘E come vedi - concluse a voce bassa - prendersi dei rischi ripaga.’ Il direttore sorrise e F iniziò a rilassarsi. Non gli era mai capitato di sentirsi dare tante spiegazioni prima di ricevere un ordine, e questo lo faceva quasi sentire in una posizione di potere. Non che potesse davvero rifiutarsi di fare quanto gli veniva detto, ma essere l’oggetto della seduzione e del tempo del direttore era qualcosa di abbastanza sorprendente in sé. Era come se gli venisse finalmente riconosciuto un prezzo - un prezzo alto.


F accelerò e i capannoni industriali schizzarono più velocemente attraverso i finestrini. Il bello di Londra è che le industrie sono sempre state costruite in centro, e la periferia finisce presto in aperta campagna. Gli Inglesi erano stati piuttosto franchi con se stessi in fatto di lavoro: al centro della città non c’erano le cattedrali, ma le fabbriche. O almeno, questo era stato il trend fino all’avvento dell’era dello Sketch e dei suoi simili. Da quel momento in poi, la differenza tra fabbriche e cattedrali aveva iniziato a diventare solo una questione accademica.


Il loro colloquio privato era durato ancora pochi minuti. Il resto erano stati solo dettagli operativi. F era uscito dalla suite ed era stato affidato a uno degli assistenti del direttore, che lo aveva accompagnato nelle cucine a incontrare lo chef. Un vero artista, a quanto lui stesso diceva di sé, e in quanto tale maniacale e esigente. Lo chef gli diede ordini precisi sulle modalità di trasporto e di manutenzione della merce. Era molto importante - diceva - che la merce non entrasse in contatto con agenti esterni che la potessero inquinare. Niente soste nei pub, quindi, niente alcolici e niente caffè. La merce doveva bere solo acqua per tutta la durata del trasporto. F trovò la cosa piuttosto divertente. Non tanto il fatto che quel vecchio pescatore venisse considerato ‘merce’, quanto questa ossessione per la pulizia del suo intestino. Del resto, era chiaro, il tutto era una questione piuttosto rituale.


Il vecchio viveva in una villetta sulla spiaggia di Auchmithie, un minuscolo paesino di ex pescatori nel nord est della Scozia. Un posto in cui la gente restava ormai solo a morirci, da quando il mare si era svuotato e le barche marcivano nel porto. Il vecchio era stato selezionato tra diversi candidati, in base agli anni che aveva trascorso a bordo dei pescherecci e per la dieta, a suo tempo, quasi esclusivamente a base di pesce. Chissà la faccia del vecchio, quando aveva ricevuto la lettera di conferma. Non doveva stare in sé dalla gioia. ‘Siamo lieti di informarla che lei é stato selezionato per partecipare al talk show che verrà registrato a Londra il giorno.... Un nostro assistente verrà a prenderla in macchina e si occuperà di offrirle un confortevole viaggio fino ai nostri studi...’ Eccetera. L’aveva spedita F, quella lettera, un giorno che era di corvée per la posta.


Non ci trovava molto di ironico nel fatto che fosse stato lo stesso vecchio a farsi avanti per essere selezionato. Molti si sarebbero volontariamente fatti uccidere pur di partecipare a un talk show in TV. Certo, il vecchio credeva davvero di andare in televisione - ma non era forse un destino più privilegiato quello di finire negli stomaci dei clienti dello Sketch? Piuttosto che negli occhi di masse di poveracci, il vecchio sarebbe andato nelle pance e nelle vene dei membri più esclusivi del club più esclusivo di Londra. Sempre meglio che finire a marcire in un cimitero di provincia.


La mattina avanzava e l’autostrada cominciava a riempirsi di macchine che contendevano le corsie ai camion carichi di merci. Chissà se faceva qualche differenza venire ammazzato da un camion pieno di vestiti firmati invece che da uno pieno di polli - si chiese F mentre superava un enorme convoglio di autoarticolati. 


Quello che F non riusciva bene a capire, in questa faccenda, era come i clienti dello Sketch potessero davvero credere che il vecchio sapesse di pesce. Quello che F riusciva a capire benissimo, invece, era che proprio la sua incapacità di credere costituiva la vera differenza tra lui e i clienti dello Sketch. F non aveva abbastanza fede. Per questo non sarebbe mai stato come loro. Per questo non sarebbe mai stato ricco, né importante. F obbediva agli ordini, non si lamentava, non si ribellava. Però non riusciva a credere. E se c’era una cosa che aveva imparato, era che ci voleva una vera fede per essere in grado di venire accettato negli ambienti che contano. Quelli che fanno finta non durano a lungo.


F superò una macchina da quattro soldi addobbata di lucine al neon e cerchioni scintillanti e sentì di nuovo fastidio. Anche per fare i poveri ci vuole fede, pensò. Altrimenti si finisce a fare gli straccioni, e non ci si guadagna niente. Niente tranquillità, niente felicità. A questo punto, se davvero bisogna credere, F preferiva sforzarsi di credere nella fede dei ricchi, invece che in quella dei poveri. Magari un giorno sarebbe andato anche lui a mangiare le carni stoppose di un vecchio pescatore e avrebbe saputo sentirne il sapore di pesce e di mare. Ma come fare a darsi la fede?


La mattina era già diventata pomeriggio e F svoltò nella corsia di uscita dall’autostrada, verso un’enorme area di servizio in vetro e acciaio. Il sole rachitico delle Midlands scintillava frenetico sul tetto della struttura, quasi fosse stato pagato dai gestori per uno sforzo aggiuntivo. F sterzò all’ingresso del parcheggio e mosse lentamente la macchina tra le file di auto parcheggiate. Non si compra un’auto di lusso per guidarla, ma per parcheggiarla - pensò, lasciando la macchina che gli aveva dato lo Sketch tra due miserabili utilitarie. F si divertì per un attimo pensando che forse il divieto del caffè era esteso anche a lui, poi assunse un’aria altezzosa e entrò nel bar dell’area di servizio.


Il cibo delle aree di servizio gli era sempre piaciuto. Forse la sua attrattiva stava nel fatto che fosse l’unico cibo disponibile nell’arco di miglia. Si aveva un po’ l’impressione di essere approdati a un’oasi nel deserto, e ci si guardava tra sopravvissuti con un’aria di sospetto. F non credeva a quanti speravano in un’apocalisse che ripulisse il mondo dalle sue storture e ci lasciasse tutti nudi, tutti uguali. Anche tra sopravvissuti si costruirebbero subito delle gerarchie, fatte anche solo di sguardi.


Il cassiere diede un’occhiata a F e gli chiese rapido che voleva, mentre nel frattempo lavava istericamente le tazze, canticchiava e si passava di continuo le maniche sulla fronte sudata. Amfetamina - riconobbe F. Si portò una mano sulla tasca della giacca, sentì la consistenza di un piccolo pacchetto e ordinò un piatto di patatine e una jacket potato.


Prima di accompagnarlo fuori dalla sua suite, il direttore gli aveva sorriso di nuovo e gli aveva detto che ci sarebbe stata una sorpresa per lui. Non aveva aggiunto altro, ma quando l’assistente aveva preso in custodia F, i due si erano scambiati uno sguardo di intesa. F sperava fossero dei soldi, ma la sorpresa era stata ancora meno sorprendente. Cinque grammi di cocaina e dell’amfetamina. ‘Un po’ per il viaggio e un po’ per quando sarai tornato’ disse l’assistente, con un tono di voce che voleva imitare quello del direttore.


F prese il suo vassoio e andò a sedersi tra i tavolini di plastica allineati lungo la vetrata che dava sul parcheggio. Forse è così che ci si può dare la fede - pensò F, rimuginando sui suoi cinque grammi. Ma quella è una fede che dura poco e costa troppo mantenere. Per lo meno ci si può ottenere qualche ragazza - si incalzò F. Ma anche qui non dura molto, giusto il tempo che lei si trovi qualcuno con più coca, o con più fede, che poi è lo stesso. Masticò un boccone di patatine, molli come vermi, e considerò le evoluzioni dei suo pensieri. Ci doveva pur essere una via d’uscita.


Si lasciò alle spalle il cassiere frenetico e tornò alla macchina. Magari quello adesso si sta pure divertendo - pensò, accendendosi una sigaretta - però quando gli scende l’amfetamina deve essere una merda avere il down in questo posto. Appoggiò le braccia sul tetto della macchina e guardò la distesa di ciminiere, prati e magazzini che si spandeva fino all’orizzonte. Il resto dell’Inghilterra è come il down di Londra. È per questo che Londra continua a espandersi. È come una dipendenza. Premette il bottone dell’antifurto e il bip soffice della portiera gli ricordò che stava guidando un’auto di lusso. Gli dava solo un po’ di fastidio che non sarebbe mai stata sua.


L’autostrada attraversò qualche dozzina di paesini identici. Quadrati di case mono-familiari, stazioni ferroviarie, centri commerciali. F spense la radio e mosse la testa in cerchio, fino a sentire che il collo si sbloccava. Si sarebbe fermato volentieri a riposare, se non fosse già stato in ritardo. Il cielo iniziò a scurirsi e F vide ai bordi dell’asfalto aprirsi grandi prati circondati da siepi. Di tanto in tanto qualche mucca al pascolo, qualche pecora.

 

F trovava difficile credere anche a quelle distese di rettangoli verdi, alle file di alberi, alle rare colline boscose.  Non era tanto il fatto che tutto questo, in fin dei conti, fosse stato pianificato e disegnato da qualcuno. Il problema piuttosto era Londra. Tutto questo esisteva solo perché esisteva Londra. Senza Londra, lì non ci sarebbe nemmeno stata l’autostrada, le mucche non sarebbero state nei recinti, e in fondo quello non sarebbe stato nemmeno un posto troppo brutto in cui stare. Senza Londra, tutto il resto non sarebbe stato solo uno scarto. E invece, le auto e i camion correvano su e giù per l’autostrada, portandosi dietro i vestiti firmati, i tabloid e il senso d’inferiorità dei provinciali. Londra non era mai lontana, nemmeno in quei campi deserti.


Il sole scese in picchiata proprio nel momento in cui l’autostrada curvava in cima a una collina e, per la prima volta, all’orizzonte si vedeva il mare. La luce si smorzò dolcemente, come se ci fosse qualcuno a regolarla, e la spiaggia prese il colore dei divani dorati dello Sketch. F guardò di sfuggita il mare, che in lontananza iniziava a farsi nero. Dopo mezzanotte, il caposala abbassava le luci delle lounges e lo Sketch di colpo cadeva in una penombra che sapeva di sesso e di champagne. Quel mare, invece, non sapeva più di niente. F pensò che da qualche parte, qualche tempo prima, dovevano pur esserci stati degli squali, persi nel mare a morire di fame. Forse era per questo che erano emersi dall’acqua e ora volevano a tutti i costi qualcosa che sapesse di pesce - si disse F, sorprendendosi a sorridere.


Alla sua sinistra, il mare di colpo si fece rosso e riempì il finestrino di una luce accecante. F rivide la sala ristorante dello Sketch, con le sue pareti tempestate di cristalli scintillanti, impossibili da fissare con lo sguardo. Anche lo Sketch, forse, era un tramonto dimenticato in loop - una luce che non fa vedere nient’altro che se stessa. F inclinò il volante verso destra e lunghe file di colline sostituirono il tramonto, mentre l’aria stessa sembrò farsi pesante e verde. A poco a poco, le macchine scomparvero dalla strada e sui pendii delle colline i prati lasciarono spazio ai boschi. Un banco di foschia avvolse l’autostrada, riflettendo le luci dei fari in lunghe strisce fosforescenti sull’asfalto. F accese il riscaldamento, l’autoradio e una sigaretta. Poi si stropicciò gli occhi. Non riusciva a non pensare a quel mare deserto.


La voce alla radio, quella mattina, aveva parlato delle foreste che adesso crescevano sotto il mare. Da quando non c’era più chi le mangiasse, le alghe si sbizzarrivano a riempire ogni centimetro di scogliera sommersa. Doveva essere parecchio diverso da quei boschi che ora circondavano la strada da ogni lato - pensò F. Niente autostrada in mezzo, o cartelli a catarifrangenti di pericolo cervi. Niente cervi, se è per questo. Niente di niente, solo microrganismi e chilometri di alghe, su e giù per le montagne sottomarine, nelle grotte, nelle pianure che da qualche parte, là sotto, si aprivano forse larghe quanto l’intera Inghilterra. Quello doveva essere un posto sicuro - si ripeté F, tirando una boccata di sigaretta. Niente predatori.


L’autoradio si mise a gracchiare e F la spense, accendendo un’altra sigaretta. Gli facevano male gli occhi e avrebbe voluto un po’ di quel silenzio terrificante in cui ora viaggiava per metterselo sulla faccia e riposarsi un attimo. A quell’ora, a Londra, la gente vagava per le strade con la cravatta slacciata, in cerca di una birra. La folla fuori dai pub faceva networking urlando fino a sfinirsi e sotto di loro, nelle metropolitane, i corpi si ammassavano in silenzio nel boato dei treni. Se fosse stato a Londra, in quel momento, F sarebbe andato a comprarsi una cena precotta da Marks and Spencer. Avrebbe guardato i prezzi, scelto il pacchetto più economico e dentro di sé si sarebbe vergognato. Appena fuori dal supermercato avrebbe preso un paio di sterline e le avrebbe buttate sdegnoso nel primo cestino, per sentirsi meglio.


In lontananza, comparvero delle torri sottili, punteggiate di luci. Nell’aria che si schiariva alla fine dei boschi, F riconobbe le periferie industriali di Glasgow. Le macchine sembrarono sbucare tutte insieme di colpo, da un qualche nascondiglio sotto l’asfalto, riempendo quel pezzo di notte con suoni di sorpassi e autoradio martellanti. Comparvero gli enormi cartelloni pubblicitari che circondano ogni città, come una versione aggiornata delle mura medievali. F ne riconobbe uno in cui una ragazza bellissima, sdraiata su un divano, prometteva dopobarba e sesso facile - c’era lo stesso cartellone a Londra, alla fermata della metropolitana vicino casa sua. Riconobbe anche la bottiglia di dopobarba che campeggiava al centro dell’immagine. Ne aveva una in camera sua. Strinse le mani sul volante e si sentì esausto. ‘Quella troia’ disse tra i denti, accelerando oltre la muraglia di pubblicità.


F continuò a guidare nel traffico alterno di chi tornava a casa e di chi usciva fuori a cena. La periferia prese forma in lunghe file di case intervallate da pub, luminarie dimenticate da qualche natale passato, aiuole in cui crescevano pezzi di bottiglie. F accese la freccia e rallentò svoltando verso il marciapiede. Viste da vicino, quelle case di periferia avevano un’aria stranamente identica - anche le scritte sui muri sembravano essere sempre le stesse. I ragazzi tenevano il cappuccio calcato sulla testa e dei cani da combattimento al guinzaglio. Le coppiette portavano a spasso combinazioni di camicie a righe e vestitini corti. Qualche vecchio tornava a casa di fretta, stringendo in mano sacchetti di plastica come fossero armi. F accostò e spense il motore. Si passò una mano sulla faccia, sul collo e rimase qualche secondo a massaggiarsi le braccia irrigidite dalla guida. Al di là del finestrino, i neon di un negozio di kebab chiazzavano il marciapiede di flash verdi e gialli.


La luce del negozio doveva essere stata progettata dagli stessi che avevano composto la techno che usciva dagli speakers attaccati ai muri. F strinse gli occhi e si avvicinò al bancone a passi traballanti. C’era qualcosa di rassicurante nelle vaschette traboccanti di condimenti e nella carne lucida nel girarrosto. F non smise di guardare il cibo neanche quando ordinò uno shawarma di agnello al ragazzo in divisa dietro al banco. Seguì con lo sguardo le sue mani armeggiare tra la pita calda e i condimenti, muoversi lungo la colonna di carne, tagliarne fette sottili e lasciarle cadere sul piatto. Il ragazzo aprì la pita e aggiunse l’insalata e le cipolle, i peperoncini verdi, la salsa piccante e quella all’aglio, due rondelle di pomodoro e una cascata di carne d’agnello. Tre sterline e cinquanta. F pagò e si ritirò in un angolo del locale, stringendo tra le mani l’involucro caldo dello shawarma.


Il primo morso è sempre goffo e un po’ timido. Si apre troppo la bocca, o troppo poco, e i condimenti scappano tra le labbra. Il vapore che esce dalla pita lacerata si spande attorno agli occhi e sostituisce il respiro. Ed è tutto vero - pensò F, nell’istante in cui inghiottì il boccone ed ebbe il tempo di pensare. La carne si arrese morbidissima ai denti, si confuse con la crema e per qualche secondo coprì le pareti della bocca, diventando bocca lei stessa, più dolce, più tenera. Ed è tutto vero - si ripeté F, deglutendo - non c’è bisogno di immaginarsi niente. Non come quelle cacche di mosca del caviale, o quegli imeni di salmone sui tramezzini. Quelli sono soldi travestiti da cibo - il cibo di chi ha fede. Questo invece, tre sterline e cinquanta e se fossero state cento non sarebbe stato migliore. F riprese fiato, pulendosi l’olio dalle labbra con un tovagliolo. La punta di un peperoncino occhieggiava tra le pieghe della carne, verdissima, striata dal bianco dell’aglio. F aprì di nuove la bocca e la chiuse sulla pasta umida della pita. Chissà quanto le faranno pagare allo Sketch, le bistecche di pescatore - si chiese. Qualche migliaio di sterline e lo sforzo di immaginasi un sapore per quella carne di vecchio. E stare tutti seduti a un tavolo, vestiti da sera, a guardarsi l’un l’altro fingere orgasmi. Stavolta F non provò più fastidio. Masticò l’ultimo boccone di shawarma e raccolse con le dita i resti di insalata caduti sul piatto. Sentì rabbia e sorrise.


Era andato a letto parecchie volte con ragazze piene di coca. Lui non ne prendeva mai molta, per evitare che il tutto finisse in amplessi molli. Però ogni tanto doveva prenderne per forza, per sopportare quelle scopate isteriche. Uscì dal negozio di kebab, accese una sigaretta e si fermò accanto alla macchina. Se le ricordava bene, quelle notti. Chi fosse lei, chi fosse lui, non aveva nessuna importanza. Che i loro corpi fossero vivi o morti nemmeno. Lei scopava con la coca, non con lui. Lui scopava come un contabile, calcolando e accumulando autostima. Aprì la portiera e buttò il mozzicone mezzo fumato sul marciapiede prima di entrare. E adesso si trovava alla periferia di Glasgow, in una macchina di lusso non sua, in viaggio per recuperare un vecchio aspirante suicida. Si faceva otto ore di macchina per conto degli intestini dello Sketch, e tutta quell’autostima e una camicia da duecento sterline non gli stavano servendo proprio niente. Accese il motore, mise la freccia e rientrò bruscamente nel traffico.


L’autostrada costeggiava la città senza avvicinarsi troppo - a quella distanza Glasgow si mostrava lucida e truccata pesante, come in un peep show per automobilisti. Le macchine sembravano rallentare apposta per lo spettacolo, e F lanciò la sua parte di sguardi alle luci dei grattacieli e degli uffici deserti, mentre di nuovo il buio recuperava la strada e la trascinava ancora verso nord, verso il mare. Le file di auto si assottigliarono, con lo scorrere dei chilometri, e i prati presero nuovamente a inghiottire i grossi sarcofagi delle fabbriche abbandonate. Anche da dentro l’abitacolo F poteva sentire il cielo allargarsi e l’orizzonte farsi più piatto, attorno alle pianure ruvide del nord.


Di quel vecchio non mi frega proprio niente - disse F ad alta voce, spezzando il silenzio. Lasciò che una manciata di secondi lo abituasse al suono della sua stessa voce. Non che abbia bisogno di giustificarmi - continuò. Quello è un vecchio e ha visto il mondo quando le cose ancora andavano bene. Avrà avuto una moglie, dei figli. Avrà visto i pesci nel mare, avrà dormito sotto il sole sul ponte del suo peschereccio. Ha avuto molto più di quanto io potrei mai sperare. Che muoia adesso non mi frega proprio niente. Che vada nelle pance di quelli dello Sketch nemmeno. Quella gente possiede già tutto, e che uno dei loro sudditi sia fuori o dentro la loro bocca non fa molta differenza. Del resto, il vecchio voleva tanto andare a Londra - sogghignò F. Eccolo servito, quello che lo aspetta è proprio Londra. Poteva starsene tranquillo a casa sua, a fare la muffa coi suoi cani, e invece ha voluto giocare a fare la star in TV. Voleva farsi mangiare e verrà accontentato. La gente dovrebbe smettere di credere di poter essere importante.


F strinse gli occhi e guardò la luce dei fari cercare di difendersi da quel buio totale, immenso. La stanchezza gli si concentrò nel fondo delle spalle, nel collo, nella schiena, e da lì prese lentamente a sciogliersi in adrenalina. F si accorse che avrebbe potuto continuare a guidare per ore, fino a svenire. Continuò a parlare, confondendo la voce col pulsare delle tempie. Questo vale anche per me - disse. Però io in fondo lo so. Non diventerò mai importante e, a meno di un colpo di fortuna, nemmeno ricco. Non che muoia dalla voglia di diventarlo. Quelli che passano dallo Sketch li conosco bene - facce smagrite, pance gonfie, occhi da moribondi. Per quanti soldi abbiano, non gli bastano a tenere a bada quella malattia che si portano tutti dentro. Cosa sia, non mi interessa. Come non mi interessano l’ubriachezza delle sei di sera dei lavoratori e le loro speranze da tabloid. Le loro depressioni, i loro complessi, le ansie da sgobboni - niente che faccia per me. E allora, cos’altro mi resta? Fare l’eremita? E dove, in qualche altro pezzo delle fotografie dei satelliti?


A giudicare dal paesaggio inesistente, dagli sparuti paesini che comparivano e scomparivano ritmicamente, F non avrebbe potuto dire con certezza se avesse attraversato centinaia di chilometri o se fosse rimasto fermo. Unico segno visibile del percorso, i cartelli stradali si fecero via via più dettagliati, mentre l’autostrada prese a sfilacciarsi in una serie di stradine laterali. In un crescendo di silenzio, F seguì le indicazioni per la costa e presto si ritrovò a districarsi tra le curve delle strade di campagna. Il mare - pensò F.


Il mare poteva essere ovunque, in quel buio completo che ad ogni minuto si riempiva sempre più di vento. Avrebbe potuto anche finirci dentro senza accorgersene. E a quel punto forse si sarebbe potuto riposare. F pensò qualcosa, poi il pensiero si divincolò e F ne cercò un altro per tenersi sveglio. Accese la radio e la spense subito. Aveva quasi finito le sigarette e quella che accese aveva il sapore delizioso della scarsità. Chissà se il vecchio fumava. Probabilmente aveva quelle cicche di trinciato forte, puzzolenti. Anzi no, forse no. Lo chef dello Sketch non avrebbe mai cucinato un fumatore. A meno che la ricetta non prevedesse il filetto affumicato.


La strada si fece noiosa e mortale, piena di scarpate invisibili ai brodi dell’asfalto. Una curva sbagliata - pensò F - e finisco a rotolare giù per una collina. Si accorse che stava trattenendo il fiato. Che si mangino tra loro - disse a mezza voce - non c’è nessuno che mi dispiacerebbe veder sparire. E non c’è nessuno che si dispiacerebbe a vedermi sparire.


Il tempo prese a fare i soliti scherzi notturni e F smise di credere all’orologio. Non potevano essere state solo otto ore, ma nemmeno così tante. Gli sembrava di viaggiare da un tempo infinito, o di non aver mai cominciato. Non si ricordava l’ultima volta che aveva passato così tanto tempo da solo, senza un computer o una tv per distrarsi. A conti fatti, non si era trovato poi di così cattiva compagnia. Certo, se qualcuno avesse intercettato i suoi pensieri non avrebbe avuto dubbi che lui fosse un mostro. Ma, del resto, anche questi ‘qualcuno’ non erano altro che dei mostri. Semplicemente, non avevano dovuto passare otto ore da soli, a sentirsi pensare, e potevano ancora far finta di non sapere di esserlo.  Forse - si disse ancora F - è proprio per questo che passano la vita a spaventarsi dei loro vicini e a fare finta di innamorarsi a vicenda. Se solo si accorgessero di che mostri sono, avrebbero anche soltanto una possibilità, finalmente, di parlarsi e di riconoscersi tra loro. Per come stavano le cose, invece, erano solo dei mostri travestiti da pezzi di paesaggio. Nessuno per la cui scomparsa nessun altro si sarebbe mai dispiaciuto.


Con sua grande sorpresa, F guardò il cartello oltre la curva e vide la scritta ‘Welcome to Auchmithie’. Era arrivato. F impiegò qualche secondo prima di realizzare che avrebbe dovuto rallentare e fermarsi. La prima parte del viaggio era finita. Auchmithie era una strada in discesa con delle villette bianche ai lati e mezza dozzina di lampioni. Alla fine della strada, una spianata di sabbia scompariva in un buio profondo che doveva essere il mare. C’era una sola villetta con le luci ancora accese e F non ebbe bisogno di controllare il numero civico a cui abitava il vecchio. Spense i fari della macchina e si fermò al centro della strada. Non si sentiva ancora pronto a incontrare il vecchio e a bersi la sua inevitabile e stupida eccitazione. Rimase immobile sul sedile, con la cintura allacciata e lo sguardo incantato dai riflessi del parabrezza. Poteva sentire il livello di adrenalina nelle vene abbassarsi in fretta, fino quasi a scomparire. Non aveva più nemmeno voglia di fumare.


Mosse la mano lungo il tessuto della giacca lentamente, quasi fosse stata la mano di un altro. Il down era arrivato comunque, in un altro dei mille deserti che si aprono fuori da Londra. Infilò un paio di dita nella tasca, agitandole al suo interno come le zampette di un paguro. La bustina era ancora lì, compressa e riscaldata da otto ore di contatto col suo corpo. F tenne sempre gli occhi sul parabrezza mentre la sfilava dalla tasca, l’appoggiava su una gamba, prendeva il portafoglio dal sedile accanto e toglieva la tessera dell’autobus e la carta di credito. Le sue mani si muovevano autonome e precise, quasi fossero le mani di un medico. Aveva bisogno di dormire o di una striscia - e era troppo esausto per dormire.


Ora che il motore era spento, da dentro la macchina poteva sentire le onde spingersi avanti e indietro sulla spiaggia. Per strada c’era vento, e da qualche parte un cane si atteneva svogliatamente tutto al suo ruolo, abbaiando ogni tanto. F versò la coca con cautela lungo il bordo della tessera e poi la riordinò con la carta di credito, facendo ticchettare la plastica al ritmo immaginario delle onde. In pochi secondi, l’aspettativa gli bagnò la bocca e prese il posto della stanchezza. F diede una breve occhiata alla striscia bianca e paffuta, prima di avvicinare la tessera al viso e tirare. Poi strizzò e aprì gli occhi un paio di volte, ripulì gli ultimi cristalli con un dito e ne leccò il gusto amaro.


Il fondo al buio c’è il mare - si disse ad alta voce, appoggiando la schiena al sedile e aguzzando lo sguardo oltre il parabrezza. Nel mare non ci sono rompicoglioni, chef maniaci, cannibali o vecchi. Gli venne voglia di fumare. La coca lo poteva anche ammazzare, certo, ma gli faceva bene. E comunque meglio ammazzato dalla coca che finire mangiato da quei bavosi dello Sketch - disse prendendo l’ultima sigaretta - e se nella migliore delle ipotesi diventerò vecchio anch’io, finirò per dovermene preoccupare. Magari a quel punto non ci sarà più coca nel mondo e vorranno provarne il sapore. Rise, accese e tirò una boccata sibilante. Si potrebbero mangiare una delle ragazze dello Sketch, ne beccherebbero di più. Ma quelle, striminzite come sono, non sono nemmeno buone a farsi mangiare. Dio ci voleva una striscia. E alla fine questo viaggio di merda forse é stata l’avventura migliore che mi sia capitata in un bel po’ di tempo. Perché farla finire così? Andare a dormire a casa del vecchio e domattina riportarmelo a casa. Lui a farsi cuocere, io a tornare sepolto sotto dieci milioni di persone. Troppa gente, Cristo.


Per strada era rimasto solo il vento, dopo che il cane aveva deciso di aver compiuto il suo dovere e aveva smesso di abbaiare. F era ancora dentro la macchina, a fumare e a sentirsi la bocca diventare asciutta. Aveva i pensieri che gli facevano rumore e cercava di tirarseli fuori dalla testa a parole, per abbassare il volume. Che situazione assurda, mi ci voleva. Dio, senti che silenzio. Hanno voglia allo Sketch a suonare la loro minimal techno, questo è molto meglio. Cazzo tutto è chiaro! Non ha senso tornare a Londra. Non ha senso andare da nessuna parte, tranne che nel... Succhiò un’altra boccata di fumo e lanciò uno sguardo alle finestre illuminate del vecchio. E come la metto col vecchio? Glielo dico? Gli dico, guarda che quelli ti vogliono mangiare? Figurati se ci crede. E anche se ci crede, mi sa che si farebbe ammazzare comunque pur di andare a Londra. Idiota. No, non glielo dico. Però gli scrocco una sigaretta, anche di trinciato. E un bicchiere d’acqua. Ho la bocca cucita. Onore al merito, quella puttana del direttore me l’ha data buona. Con tutte le sue smancerie, i divani, il suo letto di seta. Quello c’ha passato una vita per costruirsi la sua stanzetta da bordello. Ma io ho capito tutto. Me la fa annusare, quella sua vita di merda, giusto per farmi andare ancora più in là, un po’ più in là, fino al fondo. Fino a dentro il mare. F smise di parlare e fece un mezzo sorriso. Prese la bustina dalla tasca e srotolò un’altra striscia sulla tessera dell’autobus.


Il vecchio era vestito di tutto punto. Aveva l’aria leggermente spazientita, ma con l’accondiscendenza dei provinciali verso quelli di Londra. Prego, si accomodi, la stavo aspettando - disse all’ombra di F, immobile davanti alla porta. F aprì bene gli occhi e si strofinò il naso. Buonasera, buonasera, entro solo un attimo, le posso chiedere un po’ d’acqua? Sì solo un po’ d’acqua, non mi trattengo molto. Il vecchio rimase interdetto un istante. Ma lei é quello della TV, vero? - chiese. Esatto, sono io, mi hanno mandato a prenderla, però c’è stato un cambiamento di programma, ma prima mi può dare l’acqua? Certo, certo, mi scusi - disse il vecchio, intimorito, trascinando il suo vestito buono attraverso le due stanze del piano terra. F entrò dietro di lui, lanciando occhiate veloci all’arredamento di plastica spolverato di fresco e alla grossa TV di fronte al divano. Era accesa su un talk show, lo stesso a cui il vecchio pensava di andare a partecipare. E quindi lei, giovanotto, lavora alla TV...mi congratulo - disse di ritorno dalla cucina, portando un boccale da birra pieno d’acqua. F infilò bocca e naso dentro il bicchiere e bevve avidamente. Tossì, strabuzzò gli occhi e concesse un sorriso al vecchio, che lo guardava sempre più perplesso. Sì, lavoro alla TV, e conosco bene il presentatore, sa? Siamo molto amici, pensi che l’altro giorno mi ha fatto vedere la sua camera da letto. Magari la farà vedere anche a lei. Ma non è di questo che le devo parlare. 


F si sentiva scricchiolare i denti, da quanto gli sfregavano gli uni contro gli altri. Per arrivare subito al punto - continuò F, brandendo il bicchiere davanti a sé - c’é qua fuori la macchina che la porterà a Londra. Sul cruscotto le ho lasciato un biglietto con le indicazioni di dove andare. Il posto è in centro città, non si perderà. Faccia benzina e parta presto domattina, la aspettano per il primo pomeriggio. Io, mi spiace, non posso venire con lei. Dica a quelli di Londra che sono andato a cercarne un altro, loro capiranno. Anzi, gli dica che sono andato alla fonte. Comunque, mi sono già trattenuto troppo. Queste sono le chiavi della macchina - disse F allungando una mano - io devo andare. Prese fiato, guardò la faccia stupefatta del vecchio e aggiunse - Ha una sigaretta?


Il vecchio rimase sulla porta, a seguire con lo sguardo la sagoma di F che scompariva in direzione della spiaggia. Ah, dimenticavo! - urlò F dal buio - non beva birra né caffè, mi raccomando, che a quelli della TV si rovina la digestione. Il cane riprese a abbaiare e la risata di F si confuse con una serie di raffiche di vento che spruzzarono la strada di acqua salata.


F camminava rapido attraverso la spiaggia, inciampando nella sabbia, determinato come se davvero avesse capito qualcosa. Respirava forte l’aria umida, che si schiacciava sui suoi vestiti e sulla sua fronte sudata. Anche in quei mille strati crescenti di onde, vento e sciamare di sabbia, F poteva sentire il suono del battito del suo cuore. 


Si avvicinò alla risacca e rallentò il passo. Di fronte a lui, il mare nascondeva un buio ancora più denso di quello dell’aria. E le foreste - pensò F - e miliardi di tane vuote e spazi infiniti di pace, senza predatori. Mosse le braccia in avanti, procedendo nell’oscurità come se cercasse una parete di vetro. 


Le onde si ritirarono per qualche metro, e quando tornarono in avanti lo fecero con una cautela speciale, quasi con sospetto. Si avvolsero attorno ai piedi di F e poi tornarono indietro, e poi di nuovo avanti, con più coraggio. Lo annusavano, lo corteggiavano. F si fermò, strinse il respiro attorno al cuore sempre più martellante e si lasciò esplorare dall’acqua. I riflessi della schiuma del mare si imprimevano nelle sue minuscole pupille come brevissime sfumature di spavento.


Si chiese se avrebbe dovuto togliersi i vestiti e decise di tenerseli addosso. Sarò il pesce più elegante, il primo di una nuova razza! - gridò nel rimbombo delle onde montanti. Si sentiva sollevato dal fatto di non avere nessuno a cui dire addio, e nessuno a cui dire ciao nella sua nuova vita. Niente predatori - si ripeté F, con gli occhi illuciditi dal vento, mentre l’acqua si alzava fino alla cintura.


Ore più tardi, centinaia di chilometri più a sud, nella penombra di una stanza foderata di seta, una dozzina di abiti da sera si guardarono l’un altro di sottecchi, eccitati. Un morbido sottofondo di elettronica si spandeva intorno, riempiendo l’aria silenziosa e i piatti ancora vuoti sul grande tavolo nero. Uno degli abiti si agitò un poco sulla sedia, prese il respiro e diede un breve colpo di tosse. ‘Non è incredibile pensare - disse - che non ci saranno mai più pesci? Noi stiamo per assaggiare l’ultima creatura marina rimasta.’ Gli altri abiti sorrisero, senza replicare. Forse, nel luogo segreto in cui si nasconde la verità, perfino nel vuoto dentro agli abiti, inesplicabilmente sapevano di sbagliarsi.





Federico Campagna

 31-01-2010, London