0. Tempo, futuro semplice.
Dicembre, è normalmente il mese che conclude l’anno solare. Ma calendari e orologi - così vuole la tradizione - sono le prime macchine retoriche a venir spezzate dagli eventi insurrezionali. Dicembre 2010 allora non può che essere il primo mese dell’anno che viene. Il 14 è il suo primo giorno. L’anno passato è il tempo 0. Adesso inizia la danza. Iniziamo a contare. Battere il ritmo. Il punto di partenza? la riscoperta d’un tempo verbale banale - in verità fin qui imbrigliatissimo - come il futuro semplice. Pieno d’accenti e sbilanciato in avanti. Strutturalmente squilibrato. Tempo verbale proibito, perchè il futuro era stato rubato, negato, violentato.
Secondo l’adagio antico di Andrea Pazienza, una parte consistente di donne e uomini, ragazze e ragazzi della vecchia europa, almeno da un ventennio potevano al più dire: “ho il sicuro affuturato”, nodo in gola che soffoca in un presente immobile e chiede tutt’al più di guardare indietro. L’atto che rompe il tempo è allora uno sguardo che si torce in avanti. E lumeggia la strada. Di nuovo. Conta, in questo tempo, la cronaca? la riforma Gelmini dell’Università e la fiducia al Governo Berlusconi in Italia, i cortei francesi per le pensioni, la rivolta d’Atene, il movimento contro l’innalzamento delle rette universitarie in Inghilterra, la crisi irlandese, la fibrillazione del mercato spagnolo. E la cronaca delle lotte di quei giorni. Contano? piuttosto mostrano. Mostrano qualcosa, come al cinema. Come in un film. Se conta la cronaca allora ecco Parigi:
«L’assembramento [il 14 dicembre 2010 studenti sotto al Consolato italiano a Parigi] si è sciolto subito dopo, per ritrovarsi, spontaneo libero e incontrollabile su uno dei ponti più noti e suggestivi di Parigi: Ponts des Arts. Uno striscione è stato srotolato dal parapetto, lungo fino ad accarezzare l’acqua della Senna che rimarcava i concetti già espressi. “Ma quale fiducia? No ai governi della crisi”. Il gruppo si allontanava, quando alle loro spalle due fumogeni, uno rosso e uno bianco, accompagnavano il loro congedo, attirando l’attenzione di tutti i passanti sulla scritta. Ora siamo nelle nostre case parigine a leggere quello che succede a Roma. Della guerriglia urbana e della caccia all’uomo scatenata dalla polizia. Del numero di fermati e di feriti che continuano ad aumentare, come in tragico e costante bollettino. Speriamo per il meglio per i nostri amici che adesso sono a Roma, vorremmo essere tutti noi con loro, a portare sulle nostre braccia il nostro libro preferito a difesa delle nostre culture».
Dunque innanzitutto c’è chi indugia nell’uso di calendari e orologi ormai buoni solo a segnare il tempo che fu, e chi li straccia o ne spinge le lancette in avanti. Sarò, saremo, il nostro futuro assicurato.
1. Spazio, dappertutto, abbiamo fatto l’Europa.
Il vecchio arcipelago che s’immagina greco, classico, e illuminista - culla d’opposti, regno in cui coabitano religioni e laicità, cultura del lavoro e diritto di proprietà - l’Europa, questa vecchia signora, ha ormai il corpo violato dai suoi padroni. Essi ne hanno saputo immaginare e produrre soltanto la crisi, almeno fin qui, spezzandone la figura. Una ridicola competizione tra stati nazione ormai impotenti disegna la struttura di una governance che, quanto più s’immagina multipolare, tanto più si definisce come omogenea. Francia e Germania, Italia e Russia, Spagna, Inghilterra, Irlanda: nomi ormai senza significato. Non luoghi. Non più. Eppure questo stesso corpo è percorso da mesi da uno sciopero infinito che ridefinisce il suo spazio. Hanno scritto, gli insorti di Nantes, durante le mobilitazioni per le pensioni:
«è qualcosa di scontato. Il Partito dell'Ordine spera, con tutte le sue forze, di farci tornare a casa. Sindacati e governo riusciranno ad accordarsi. Lassù, almeno. Essi contano senza dubbio sull'attrazione fatale che avrebbe per noi l'insidiosa percezione del vuoto nel quale abbiamo così perfettamente disimparato a vivere e a lottare. In questo si sbagliano. Noi non torneremo a casa; noi che non ci sentiamo a casa da nessuna parte. Se c'è un solo spazio che abbiamo sentito come abitabile, è all'interno dell'evento grazie al quale viviamo, nelle intensità che si disegnano. In funzione, soprattutto, dei mezzi che ci sapremo dare».
E infatti a casa non sono tornati. Sono andati per strada in altri angoli d’europa, in un flusso che non ha soluzione di continuità. Si tratta dello stesso movimento. Quelle scritte a Nantes mesi fa, sono parole che potrebbero esser dette e scritte, identiche, oggi a Roma, Madrid, Londra, Berlino, Timsoara, Budapest etc. Da una parte lo spazio corrotto e frammentato della crisi, dall’altra il raddensarsi d’un luogo più ampio dei confini nazionali, poliglotta e potente, gravido.
2. Politica, nessuna tattica, nessuna strategia
A leggerlo con le categorie del secolo passato - persino quelle tanto di moda nella retorica ufficiale ossessionata dal ritorno degli anni settanta - non si capisce proprio nulla del movimento che fa tremare l’Europa. Tattiche non ne abbiamo. E la domanda benevola: «la strategia della violenza paga o è dannosa?» può ricevere come risposta solo una seconda domanda, ironica: «strategia? che cos’è?». Ancora da Nantes, viene proposto un altro punto di vista:
«Non ci si pone mai solo all'interno di un movimento, ma anche in rapporto, di fronte e forse anche contro di esso. Contro quello che, al suo interno, mantiene un'inconsistenza. Il riflusso del suo vuoto e della sua disperazione. Si tratta di mettersi in contatto con le condizioni materiali e affettive che ci legano a questo mondo. Di rendere non solo impossibile ma anche indesiderabile ogni ritorno alla normalità. Per questo occorre costruire una cartografia di ciò che ci lega: flussi, poteri, affetti, logistica e approvvigionamento. Acquisire, sul filo delle amicizie cospirative, i saperi insurrezionali attraverso cui sconfiggeremo questo mondo. Abbiamo appena appreso le prime lettere dell'abecedario della sedizione. Sappiamo come paralizzare le raffinerie, i depositi petroliferi, le autostrade, i porti. Lasciar riempire le strade di rifiuti per farne delle barricate. Rompere le vetrine che riflettono la nostra assenza. Le domande che si impongono potrebbero dunque essere: come bloccare, definitivamente, le centrali nucleari? Come convertire lo sciopero in diserzione? Come nutrirsi, curarsi, amarsi, senza lasciare questo mondo in pace».
Non lasceremo più questo mondo in pace. Semplicemente. Perchè in pace questo mondo non c’ha lasciato. Politica allora è una cartografia di relazioni e processi, costruzione comune, ovvia per chi c’è dentro. Pericolosa, per la crisi d’Europa e per i suoi interpreti di palazzo.
3. Ma che vogliono questi? l’effetto McGuffin del movimento globale
Quali obiettivi ha il movimento? fermare la riforma delle pensioni in Francia? ma è passata, quindi è finita. Le misure del ministro Gelmini in Italia? o impedire la fiducia al Governo Berlusconi? idem. O l’aumento delle rette in Inghilterra? stesso quadro. Ancora una volta, bisogna cambiare sguardo. Altrimenti sarebbe come guardare un film di Hitchcock concentrandosi sul McGuffin. Università, pensioni, sanità, il vecchio apparato del Welfare pubblico europeo è McGuffin. Cioè: il MacGuffin è un artificio. Particolare che da il via a una catena di immagini, occasione per la trama del film, eppure di scarsa o nessuna rilevanza. Alfred Hitchcock lo spiegava così a François Truffaut:
«Due viaggiatori si trovano in un treno in Inghilterra. L'uno dice all'altro: “Mi scusi signore, che cos'è quel bizzarro pacchetto che ha messo sul portabagagli? — Beh, è un MacGuffin. — E che cos'è un MacGuffin? — È un marchingegno che serve a catturare i leoni sulle montagne scozzesi. — Ma sulle montagne scozzesi non ci sono leoni! — Allora non esiste neppure il MacGuffin!”».
Non voglio con ciò dire che gli argomenti su cui s’accendono i roghi europei non abbiano importanza. Ce l’hanno perchè senza non si svolgerebbe la storia. Solo la loro importanza è pari alla loro scarsa rilevanza. Non si muove sul piano della politica classica questo movimento. Non più. Perciò che la riforma della Gelmini venga approvata, che il governo Berlusconi ottenga la fiducia, come per le altre questioni in Francia, Spagna, Inghilterra etc. beh, non ha alcun effetto. Perciò dicembre è l’inizio dell’anno, il tempo è futuro, lo spazio è dappertutto, la densità del movimento infinita. Quello che succede è carne nuova dentro la parola politica. Essa designa da oggi due cose diverse e opposte: la crisi dei governi occidentali da una parte, e la gioia del futuro nel suo svolgersi concreto, compiutamente esterna a quello spazio di crisi, dall’altra. Bisogna solo scegliere se continuare a cercare il McGuffin, o iniziare a guardare il film.