I “giovani” sono in stato di ribellione permanente, perché persistono le cause profonde di essa, senza che ne sia permessa l’analisi, la critica e il superamento (non concettuale e astratto, ma storico e reale); gli “anziani” dominano di fatto ma… après moi le déluge, non riescono a educare i giovani, a prepararli alla successione. Perché? Ciò significa che esistono tutte le condizioni perché gli “anziani” di un’altra classe debbano dirigere questi giovani, senza che possano farlo per ragioni estrinseche di compressione politico-militare.
Era così che Antonio Gramsci discuteva la “quistione dei giovani” nei suoi Quaderni del carcere. La riflessione gramsciana scaturiva dal contesto politico italiano del primo dopoguerra. In quel frangente, il collasso della vecchia classe dirigente liberale aveva visto un’avanguardia consistente delle nuove generazioni esprimere la propria “ribellione” nei confronti dello status quo sotto forma di supporto attivo allo squadrismo fascista. Nei Quaderni, Gramsci interpretava questa convergenza a destra dei giovani come il risultato dell’incapacità – da lui spiegata alla luce di fattori esogeni di natura “politico-militare” – da parte del movimento operaio di esercitare una funzione “dirigente” nel paese.