Qualche settimana fa, nella sezione “culturale” dell’Evening Standard, pubblicarono una foto: erano ritratti otto ragazzi, sui venti anni, seduti su una scalinata di un palazzo medievale. Erano vestiti, da buoni londinesi “intellettuali”, in uno stile fintamente casual-sciatto; erano tutti sorridenti; due di loro maneggiavano un cellulare; una giovinetta aveva un pc sulle ginocchia: «Stiamo parlando di tecnologia», sembrava dire. Chi erano costoro? Erano loro quelli che lo Standard chiamava, con un bel titolone, Clicktivists, attivisti del “click”. Ecco i volti nuovi della protesta di questi mesi: coloro che usano i social network come Facebook o Twitter per organizzare manifestazioni, coordinarsi, promuovere scioperi. [1]