L’Inghilterra è sempre stato un paese particolarmente abile nel reinventarsi. Era la terra che aveva schiavizzato mezzo mondo col suo colonialismo, poi è diventata quella che lo ha salvato dal Nazismo. Era il paese in cui alla fine del 1945 gli sfollati avevano dato vita alle occupazioni di case più massicce nella storia europea, poi è diventato l’incubo yuppy degli anni della Thatcher. Era la Cool Britannia del New Labour, poi è diventata ‘la cosa’ scontenta e sanguinante dell’attuale governo conservatore. Ma a ben guardare, sotto tutti questi capovolgimenti e cambi di maschera, qual’è la verità sull’Inghilterra?
Qual’è la verità sulla Gran Bretagna di oggi, quella che regala bonus milionari ai bankers della City e toglie i sussidi di disoccupazione ai poveri, riduce il supporto alle famiglie, taglia i fondi alla scuola e dimezza i servizi pubblici per gli anziani e i disabili?
La risposta a una domanda così complessa è sorprendentemente facile. Così facile da essere quasi perfetta. Matematica. Si tratta proprio di un numero, in effetti. Il 36. Dobbiamo la chiarezza di questa cifra a uno statistico italiano, Corrado Gini, che nel 1912 pubblicò in un paper accademico un sistema per misurare il grado di disuguaglianza di una distribuzione. In questo caso, stiamo parlando di distribuzione del reddito. Applicato a una distribuzione, il coefficiente di Gini prevede 0 come misura di completa eguaglianza e 100 come misura di completa disuguaglianza. Lungo questa scala, 36 potrebbe sembrare a prima vista un numero piuttosto ragionevole. La prospettiva cambia completamente, però, se compariamo la situazione del Regno Unito con quello di altri paesi del mondo.
Scopriamo così che il grado di disuguaglianza in termini di reddito in Inghilterra (appunto di 36, nel 2009) è raggiunto in Europa solo dall’Italia (36) e dal Portogallo (38), mentre tutti gli altri paesi vantano diseguaglianze molto minori, fino all’esempio più virtuoso della Norvegia, che ha un coefficiente di Gini pari a 25. Per farci un’idea, quello di paesi come l’Indonesia, il Senegal o il Burkina Faso è 39. Nel cosiddetto ‘primo mondo’, solo gli Stati Uniti fanno di peggio, con un grado di disuguaglianza superiore a 40 sulla scala di Gini.
La situazione dell’Inghilterra si presenta ancora più drammatica se scorporiamo i dati a livello locale. La capitale dell’isola, in particolare, è lacerata da disparità estreme, con il 20% più ricco della popolazione cittadina che detiene il 60% del reddito complessivo, mentre il 50% più povero possiede solo il 15% delle risorse totali della capitale. Per tradurla in termini semplici, la situazione di ineguaglianza redistributiva a Londra, che da sola vanta quasi otto milioni di abitanti (poco meno dell’intera popolazione del Portogallo), è vicina ai livelli del Brasile.
Ma a questo meraviglioso risultato l’Inghilterra non è abituata da sempre. Pensare che alla fine degli anni settanta il suo coefficiente di Gini si attestava a 25, ai livelli di una socialdemocrazia Scandinava. È stato solo a partire dagli anni di Margaret Tatcher che il crescere delle disuguaglianze sull’isola si è trasformato in una scalata vertiginosa, che non ha conosciuto rallentamenti nemmeno durante gli anni in cui la presunta ‘sinistra’ del New Labour di Tony Blair ha governato l’isola. E le ultime stime confermano come, dall’inizio della crisi del 2008, questa scalata si stia sempre più trasformando in un’ascesa verticale.
Questa è la verità sull’Inghilterra, coperta a malapena dal trucco pesante del continuo rinnovarsi delle mode e dei nomi, o dai sempiterni ritornelli isolani come ‘Keep calm and carry on’ e ‘We’re all in this together’. È da questa prospettiva che dobbiamo osservare non solo i recenti provvedimenti di austerità presi dal governo conservatore, ma anche le reazioni di protesta della popolazione studentesca e, tra breve, dei lavoratori. L’azione di governo, per quanto sotto una bandiera diversa da quella che ha sventolato sulla residenza di Downing Street nell’ultimo decennio, si inserisce in una traiettoria di politiche sociali che ha conosciuto una continuità impressionante sia sotto i vecchi Tories degli anni ottanta che sotto il New Labour dei novanta. Davvero niente di nuovo sotto il pallido sole d’Albione. In questo senso, i sommovimenti sociali di questi ultimi mesi potrebbero essere letti come una risposta della popolazione inglese, e in particolare di quel 50% più povero, a uno stato di minorità economica che si va facendo sempre più intenso. Purtroppo, almeno per quest’ultimo punto, la situazione è nei fatti più complicata.
Nonostante la forte disparità sociale che tormenta l’isola, i cittadini inglesi sono ancora straordinariamente restii a spingere il proprio malcontento al punto di politicizzazione in cui la disperazione si fa analisi della realtà e costruisce connessioni tra campi e questioni apparentemente distanti. Le grandi proteste studentesche che hanno infiammato il paese negli ultimi mesi, ad esempio, si sono concentrate unicamente sulla questione specifica dei tagli all’educazione, mentre i tentativi di più ampio respiro, come il movimento intergenerazionale della Coalition of Resistance, riescono al massimo ad ampliare il discorso a una resistenza contro tutti i tagli alla spesa pubblica voluti dal governo. È proprio in questa paralisi dell’immaginazione politica che il concetto stesso di resistenza si presenta sullo scenario inglese con tutti i suoi limiti: che senso ha una resistenza - intesa come un’opposizione al cambiamento e un desiderio di immobilità - nel contesto di una situazione già profondamente ingiusta come quella britannica?
Forse è proprio a causa di questa incapacità dialettica e immaginifica dei cosiddetti movimenti di resistenza, che l’aspirazione a un vero cambiamento e l’espressione del disagio più profondo si propongono continuamente durante le manifestazioni di piazza sotto la forma istintiva e poeticamente onnicomprensiva della violenza e del vandalismo. Soprattutto nel caso dei ragazzi che provengono dalle periferie più povere del sud est di Londra - le aree africane e giamaicane di Brixton, Peckham, Deptford e Croydon - questa sintesi poetica si sintetizza nell’opporre la (poca) violenza di strada dei cappucci e dei bastoni alla (tremenda) violenza dell’esclusione sociale e della repressione poliziesca. Al di là di ogni romanticismo, però, basta poco per capire che questo genere di reazione non costituisce né una minaccia sufficiente a far tremare le strutture di potere esistenti, né una cura per le ineguaglianze che affliggono così profondamente l’isola.
Ciò che oggi ancora sembra mancare, in Gran Bretagna, è la capacità di riconoscere e proporre una cornice di senso (alcuni direbbero, una visione utopica o un’ideologia) all’interno della quale la rabbia pura delle ultime manifestazioni sia in grado di trasformarsi nell’energia alla base di una vera sfida allo stato di profonda ineguaglianza sociale. In maniera paradossale, proprio nel momento in cui le élite inglesi e europee fanno quadrato attorno a chiare posizioni ideologiche e intensificano la guerra di classe contro le fasce più povere della popolazione, queste stesse si trovano armate soltanto di slogan e bastoni nel mezzo delle strade attraversate dalle manifestazioni. Se i governi europei hanno ben chiaro quali interessi vogliono difendere e che tipo di mondo si apprestano a costruire, è ora per gli oppressi, in Inghilterra e altrove, di porsi queste stesse domande e affiancare l’immaginazione utopica alla lotta di strada. Per cosa stiamo lottando? Come sono l’Inghilterra e l’Europa che vorremmo? Cosa significherebbe vincere?
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fonti dei dati:
- http://hdrstats.undp.org/en/indicators/161.html [1]
- http://www.worldpolicy.org/globalrights/econrights/maps-gini.html [2]
- http://www.poverty.org.uk/09/index.shtml [3]
- http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/d/d4/Gini_since_WWII.gif [4]
- http://www.londonspovertyprofile.org.uk/indicators/topics/inequality/inc... [5]
Links:
[1] http://hdrstats.undp.org/en/indicators/161.html
[2] http://www.worldpolicy.org/globalrights/econrights/maps-gini.html
[3] http://www.poverty.org.uk/09/index.shtml
[4] http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/d/d4/Gini_since_WWII.gif
[5] http://www.londonspovertyprofile.org.uk/indicators/topics/inequality/income-inequality-in-london-compared-with-other-english-regions/