Patti Smith: Just Kids Feltrinelli, 2010
Chris Kraus: Aliens and Anorexia ObarraO 2011
1. pattisoft
Quando venne a Bologna, nel 1979, l’anno più orribile delle nostre vite, dopo il concerto allo stadio andai alla conferenza stampa che si teneva al Carlton Hotel.
Dato che aveva accettato di partecipare a una manifestazione organizzata dal Comune di Bologna, che per me era l’arcinemico stalinista capitalista e repressore, andai alla conferenza armato di cattive intenzioni.
Ricordo che c’era questo tavolo grande in mezzo e tutti i giornalisti intorno, e lei che parlava con una camicia bianca svolazzante e io mi alzai e le dissi: “I hate you.”
Era stata informata del fatto che i dissidenti contestatori anarcoidi (quelli simili a lei) erano arrabbiati perché aveva accettato l’invito dell’arcinemico, e mi rispose con un sorriso angelicamente diabolico, come sapeva far lei, e mi disse: “I love you”.
Banale, lo ammetto, ma poi aggiunse una frase disarmante. Disse che era appena stata in Cecoslovacchia con Lenny Kaye e gli altri, e sebbene là fossero comunisti (così mi disse) però erano stati molto gentili e le sembravano tutti molto bravi. Naturalmente aveva fatto confusione tra comunisti e comunisti, non aveva capito che i comunisti con cui ce l’avevamo noi non erano gli stessi di cui stava parlando lei e che noi eravamo a nostra volta comunisti ma ce l’avevamo con degli altri comunisti che non erano veri comunisti per cui non ci piaceva che lei accettasse gli inviti dei comunisti perché noi eravamo comunisti e non i comunisti i quali in verità non erano comunisti.
Aveva ragione lei a non capirci, e avevo torto io a dirle che la odiavo. Perché in realtà l’adoravo come tutti noi. L’adoravo perché era il simbolo vivente di quel passaggio che stavamo attraversando, il passaggio dall’epoca felice utopica colorata comunitaria struggente che forse potremmo chiamare (in modo approssimativissimo) epoca hippy, all’epoca tormentata distopica nera e bianca solitaria e struggente che forse potremmo chiamare (approssimativissamente) epoca punk.
Durante questa estate 2011, che certamente gli storici (se ancora esisteranno) ricorderanno come l’inizio del declino precipitoso dell’occidente e della civiltà moderna ho letto questi due libri, entrambi bellissimi struggenti autobiografici nel senso di un’autobiografia allargata, generazionale: Just Kids di Patti Smith e Aliens Anorexia di Chris Kraus. Magrissime entrambe nelle fotografie ma così diverse da raccontarci con le loro storie le due facce di una vicenda di speranza e disperazione e di passione intellettuale unica nella storia dei tempi che furono e di quelli che verranno, la storia che fa perno intorno all’anno 1968, l’anno in cui per la prima volta l’umanità si mise a cantare la stessa canzone, provocando l’odio smisurato dei biechi blu che iniziarono la loro guerra che non finisce ancora: guerra contro l’egualitarismo contro la pigrizia contro la rilassatezza non competitiva.
Patti cresce in una famiglia di gente simpatica, una sera del 1968 seduta sul divano accanto al suo papà assiste all’omicidio di Martin Luther King, e un’altra sera del 1969 vede uccidere Robert Kennedy. Vive in un paese sinceramente democratico non c’è dubbio. Un paese di pazzi criminali, un paese irredimibile, senza speranza senza intelligenza senza pietà senza sensibilità. Tra tutti i paesi del mondo certamente il più disumano o forse il più postumano, fin dall’inizio costruito sull’eliminazione dell’umano, sul più perfetto genocidio che la storia abbia conosciuto, e quindi sulla parola di dio, razzista pazzo criminale anche un po’ idiota in verità. Non si capisce niente della beat culture e della hippy culture se non si pensa al fatto che in questo paese nascono dei bambini che sono umani poi debbono crescere nell’incubo ad aria condizionata. E allora talvolta si esagera.
Patti legge Rimbaud poi si trasferisce nella metropoli dove si incontrano bambini fuggiti di casa in cerca di poesia e incontra Robert Mapplethorpe, un altro bambino fuggito di casa in cerca di poesia. Sulla loro avventura aleggia protettiva e minacciosa insieme la presenza di Andy Warhol, simbolo di un disadattamento nevrastenico, e della Factory, luogo in cui la ribellione si fa conciliante e scende a patti con lo spettacolo.
“Ridevamo spesso di noi: ci dicevamo che io ero stata una bimba cattiva che si era sforzata di essere buona e lui un bravo bambino che si era sforzato di essere cattivo. Nel corso degli anni i nostri ruoli si sono invertiti, poi invertiti di nuovo finché abbiamo accettato la nostra duplice natura. Entrambi racchiudevamo principi opposti, luce e tenebra.”
New York all’inizio degli anni ’70. Cerco di immaginarla ma non mi è facile, perché quando l’ho conosciuta nel mio primo viaggio americano dieci anni dopo nel gennaio del 1980, i bambini in cerca di poesia avevano già cominciato la ritirata di fronte all’incedere delle truppe di biechi blu incaricati di ripulire il mondo dagli umani. Poi, a metà del decennio arrivò Randolph Giuliani, in collaborazione con l’Acquired Immune Deficiency Syndrome a completare la pulizia etnica.
“Death comes sleeping down the hall way in a lady’s dress
Death comes riding up the highway in its Sunday best
Death comes I can’t do anything
Death goes there must be something that remains
A fire of unknown origin took my baby away.”
Scrive Patti quando inizia a recitare poesia nei locali intorno alla ventitreesima, e vive in una stanza del Chelsea Hotel infestato da poeti timidi e artisti euforici. Quando ci sono andato io dieci anni dopo lungo le pareti dei corridoi giallo scuro strisciavano i loro fantasmi.
“A Robert venne diagnosticato l’AIDS nello stesso momento in cui io scoprivo di essere rimasta incinta del mio secondo figlio. Era il 1986, un tardo settembre, e gli alberi erano carichi di pere…. Il timore che avevo sempre covato parve materializzarsi con la stessa immediatezza di una vela luminosa che viene presa dalle fiamme…”
Il tono del racconto di Patti Smith mi ha sorpreso. Quando ascoltavo Because the night, trent’anni fa, pensavo a quella donna come il simbolo della nostra collettiva sfrenatezza e del demonico spirito punk, mentre questo racconto me la presenta dolcemente pacificata con l’ineluttabile, profetessa a rebours dello spirito hippy.
2. sadomaso Chris
Aliens and Anorexia è un racconto (largamente autobiografico) che Christ Kraus ha pubblicato nel 2000 e che solo adesso esce in Italia edito da ObarraO.
L’inizio della storia è appassionante. Chris ha realizzato un film che si chiama Gravity and Grace.
“In questo lavoro Andy Warhol e Ulrike Meinhof, due icone culturali che sembravano letteralmente opporsi, si congiungono.”
Ma fare un film non serve a niente se qualcuno non lo vede e lo distribuisce. Perciò Chris va a Berlino per partecipare all’European Film Market sperando di trovare un distributore. Per molte pagine ci racconta l’esilarante solitudine di una povera film maker sconosciuta che si aggira tra produttori mercanti distributori e critici che non conosce e non la conoscono fin quando alla proiezione del suo film non c’è quasi nessuno e i pochi spettatori abbandonano la sala prima della fine.
Poi ecco che Chris inizia con un balzo all’indietro a parlarci della produzione del film, in New Zealand, qualche anno prima, coi soldi di un professore americano di origine francese, e in una sorta di montaggio schizoide ci racconta la sua New York, che non è quella ancora sognante e dolce di Patti Smith ma quella più tardiva e già devastata dall’AIDS, quella in cui gli artisti sono già diventati merce di scarto di una metropoli che li ha usati per poi espellerli o marginalizzarli.
Anche Patti Smith era arrivata a New York dalla provincia, ma la sua provincia era il New Jersey, mentre quella da cui arriva Chris è Auckland, agli antipodi del mondo.
La percezione di Chris è tutta proiettata nello spazio successivo all’esplosione. La tenerezza del prima è già trasferita nel mondo dei sogni, delle speranze mai davvero sperate. Ulrike Menhof è un ottimo simbolo di questo momento di trapasso dall’euforia di una liberazione assurda al precipizio nell’inferno della deprivazione sensoriale. Ma Chris arriva a New York troppo tardi (come me, che per alcuni mesi vissi vicino al bunker di William Burroughs e quando andai a trovarlo era il giorno in cui c’era il funerale di suo figlio, morto per overdose). Chris è una bambina buona si vede subito, ma sperduta, traviata da artisti cristiano masochisti come Paul Thek che disse: “mi capita di pensare che non esista altro che il tempo, e che ciò che vediamo e sentiamo siano solo le sue sembianze in quel dato momento.”
Si trasferisce a Los Angeles e qui, ancor più che a New York “Le cose accadevano, ma senza un senso, c’erano un’infinità di conversazioni ma nessuno scambio d’informazioni, un momento in cui si percepisse che le parole e i gesti entravano nel campo di un altro. Giocare sadomaso con gli sconosciuti mi dava la sensazione che ci fosse qualcuno con cui parlare.
“Solo il gioco ritualizzato del sadomaso restituisce azione in condizione di deprivazione sensoriale.
Non c’ sperimentazione teatrale nel masochismo, per questo mi piace. La parte è assolutamente prestabilita e circostanziata. Stai in alto, oppure stai in basso, non c’è spazi per nessuna variazione…
Sadomaso è come nella commedia dell’arte un repertorio di storie, monconi di parole, battute egags. Noi siamo Punch e Judy. Lui fissa le manette alla porta. Io sono Colombina, lui Pierrot.”
Il rapporto tra segno e cosa è sospeso, cancellato, dimenticato. Citando Simone Weil, il suo angelo custode, autrice (guarda guarda) di un libro dal titolo Gravity and Grace, scrive Chris Kraus:
“Si sta distruggendo la relazione del segno con la cosa significata, il gioco degli scambi tra segni si moltiplica di per se stesse e in sé e per sé. E la crescente confusione richiede un numero sempre maggiore di segni per i segni… abbiamo perso ogni poesia dell’universo.. denaro meccanizzazione algebra. I tre mostri della civiltà contemporanea.”
L’anoressia, argomento ricorrente in questo racconto, è rifiuto fisico, corporeo, sensibile, di ingoiare questo mondo sensualmente deprivato.
“Il cibo come prodotto della civiltà e del suo cinismo mi dà la nausea.”
“Pezzetti di burro artificiale impacchettati uno a uno in scatolette di plastica, spalmati a velo su bianchicci panini pieni di amido da supermercato. Insapori gamberetti d’allevamento surgelati. Lattuga mantenuta fresca per giorni, idratata automaticamente fino a lavarne via ogni sapore. L’uguaglianza cancerosa della California. Non c’è bellezza perché ognuno non è altro che immondizia…. Il cinismo passa lungo la catena alimentare. Smettere di mangiare è sottrarsi temporaneamente a questo, Senza amore non si può mangiare.”
Ci sono pagine in questo Aliens and Anorexia in cui lo struggimento si trasforma in dolcezza. E talvolta pare di leggere Dick, o Vonnegut, e la tenerezza malinconica che ti prende di fronte all’assurdo di un mondo che in nessuna maniera può essere compatibile con l’umano. America. “Non esiste bellezza da nessuna parte.”
E sempre, leggendo Patti e leggendo Chris, la nostalgia di tutti coloro che sono morti quando ancora non si sapeva la verità dell’America, e la verità del mondo: che non vi è altra armonia che nell’essere morti. E un desiderio intenso di essere morti con loro.